Anno: 2014
Durata: 94’
Genere: Horror
Nazione: USA
Regia: David Robert Mitchell
David Robert Mitchell aveva sorpreso un po’ tutti nel 2011 con il suo debutto alla regia, The Myth of the American Sleepover. Il film, un coming of age, girato a basso costo, riusciva a catturare con sensibilità insolita le vite di un gruppetto di ragazzi durante un lungo weekend estivo.
Per il suo secondo film, Mitchell sembra piegarsi al genere horror, quando invece lo plasma alle sue esigenze, realizzando così un seguito logico al suo primo film. L’approccio in entrambi i casi è lo stesso. Lì dove in American Sleepover, il regista prendeva i personaggi tipici dei film di John Hughes come punto di partenza per poi dare al racconto una forma naturalistica. In It Follows i riferimenti sono classici come Halloween (1978) e Nightmare on Elm Street (1984), ma anche l’influenza del primo Cronenberg emerge qua e là. Pur muovendosi nelle coordinate del genere, è nuovamente presente la paura di crescere, il passaggio all’età adulta, incombente e inevitabile, che era così ben descritta in American Sleepover.
La scena iniziale mostra una ragazza aggirarsi per un tipico quartiere suburbano in fuga da una forza invisibile. Sia l’atmosfera, sia la ricerca tecnica (una carrellata di 360°) richiama chiaramente Carpenter. La ritroviamo in spiaggia, dove viene brutalmente attaccata e uccisa. Il male non si vede mai, ma è presente fin da subito, in attesa di essere svelato più tardi.
Entra in gioco la protagonista, Jay (Maika Monroe), che alla fine di una scopata si ritrova legata su una sedia. Il ragazzo con cui era uscita, terrorizzato, la informa sulle regole del gioco. Avendo avuto sesso con lui, le è stata trasmessa una presenza visibile solo a lei, che inizia a perseguitarla, prendendo forme sempre diverse. Questa presenza è inarrestabile e apparentemente l’unica possibilità di liberarsene e passandola a un’altra persona o lasciandoci la pelle. In un primo momento nessuno crede a Jay, ma ben presto i suoi amici capiscono che il pericolo è reale. Insieme inventano un piano per far venire allo scoperto il male e sconfiggerlo per sempre.
Nella seconda parte l’horror diventa viscerale. Nonostante le intenzioni allegoriche, Mitchell è ben attento a non allontanarsi troppo dal genere, inserendo classiche scene di “spavento” e effetti speciali. Il fatto che l’atmosfera generale sia molto trattenuta, come già nel debutto, rende questi momenti più potenti. Quello che convince di più di It follows è proprio la sua atmosfera, la sua non specificità temporale e geografica, sottolineata dalla fotografia di Michael Gioulakis e la colonna sonora synth di Rich Vreeland, usata intelligentemente con i suoi rimandi a score del passato (e di nuovo giù di Carpenter). Come già in American Sleepover, Mitchell riesce a creare un posto immaginario solo definito dai suoi giovani protagonisti. Non per caso, a parte sotto forma delle apparizioni, non ci sono in pratica adulti.
Se la metafora del contagio sessuale e fin troppa ovvia, l’intenzione di Mitchell è la stessa del debutto. La fine dell’età adolescenziale e l’impossibilità di evitarlo. Il simbolismo delle apparizioni è chiara. Sono lente, ma continuano ad avvicinarsi e sono inarrestabili. La paura e l’ansia dello sconosciuto e l’incertezza delle sfide future direttamente prese dalla realtà, però qui funzionano un po’ meno bene, specialmente quando Mitchell ci va giù in maniera al limite del pedante, tanto da far quotare ad uno dei personaggi passaggi de L’Idiota di Dostojewski. Curiosamente il regista riesce ad evitare meglio i cliché del genere horror, che quelli dei coming of age. Ed è proprio questo il problema maggiore di It Follows, le due anime non riescono mai veramente è diventare un insieme compiuto. Lo show down finale poi sottrae al racconto parte della sua forza, per un risultato buono, ma non straordinario.
Mitchell rimane un autore da tenere d’occhio e sarà interessante vedere che piega prenderà la sua filmografia.
Paolo Gilli