Mózes è un ragazzo insicuro, introverso con un padre autoritario. Il giorno in cui l’uomo muore improvvisamente, Mózes s’illude di essersi liberato di quella presenza ingombrante, invece si ritrova letteralmente tra i piedi il fantasma disorientato dell’uomo. Il giovane cerca di comprendere come mai il padre sia ancora al suo fianco e, nel cercare il modo di lasciarlo andare per sempre, inizia a seguire bizzarri consigli e istinti che lo porteranno presto a una inevitabile serie di fallimenti. Tutto quello che Mózes tocca, nonostante le migliori intenzioni, si tramuta in un fiasco clamoroso. E soprattutto: quelle visioni sono davvero reali? Riuscirà e superarle e vivere la sua vita?
“Afterlife” narra il percorso di crescita di un ragazzo, il suo intimo disagio, il suo essere goffo ma determinato. Bastano pochi minuti, infatti, per farci dimenticare che la storia sia ambientata in un paesino dell’Ungheria, all’interno di una famiglia che non ha nulla di diverso dalle nostre. Una madre persa e depressa, una sorellina vittima del bullismo, una zia zitella e lui, il protagonista, che cerca l’emancipazione da un fantasma (a sua volta smarrito) che pare essere una proiezione dei suoi problemi. Il ragazzo alla fine imparerà a vivere, nel mentre ci regalerà 90 minuti sobri, divertenti, con siparietti al limite del grottesco. Nessun film di denuncia, quindi, solo una inattesa sottile commedia drammatica talmente ben fatta da stupirci, soprattutto quando leggiamo l’età e il curriculum della regista.
Photo: courtesy of 33° Bergamo Film Meeting
Virág Zomborácz, classe 1985, nata in Ungheria, negli ultimi cinque anni ha pubblicato un romanzo breve in un’antologia divenuta best-seller, si è cimentata con successo nella video-arte e negli spot pubblicitari, prima di divenire sceneggiatrice per la HBO del suo Paese e addentrarsi nel mondo del lungometraggio di finzione. “Afterlife” è il suo film di esordio e noi ci alziamo ad applaudire. Solido, scorrevole, accurato, sottile racconto di formazione che, nonostante sia incentrato sul singolo, riesce a non annoiare rimanendo sempre coerente. Senza nascondersi dietro la tecnologia, la globalizzazione e altre peculiarità del nuovo millennio, la regista riesce a parlare di tempi e di generazioni che cambiano, di famiglie sgangherate, di rapporti genitore-figlio in cui ognuno ha i suoi dilemmi, dimostrando come alla fine i problemi siano sempre i medesimi.
La famiglia di Mózes con i suoi disturbi, con le sue astuzie e con le sue follie ci fa sentire tutti più normali.
In anteprima nazionale ieri, mercoledì 11 marzo, al 33° Bergamo Film Meeting (il programma completo su www.bergamofilmmeeting.it), l’opera compete nella sezione Mostra Concorso. Potrete rivederla venerdì 13 al cinema San Marco.
Vissia Menza