Teaser lunghissimo, ma davvero… come si può non amarlo? Sempre Maggie Siefvater, sempre Ladri di sogni. Avete detto bene, mi sta prendendo moltissimo: posso già prevedere quanto sarà difficile recensirlo. Buona giornata!
Gareggiare non era tanto facile quanto ci si aspettava per Ronan Lynch. I più rispettavano i limiti di velocità. Visto che le gare si guadagnavano parecchio spazio sui giornali, la maggior parte dei piloti era troppo timorosa, troppo retta, o troppo ingenua per essere provocata. Anche quelli che avevano valutato l’ipotesi di qualche minuto di corsa tra i semafori sapevano di non avere veicoli adatti allo scopo. Le gare non si trovavano in strada. Dovevano essere alimentate. Era così che Ronan Lynch trovava guai.
Serviva una macchina di un colore sgargiante, per cominciare. Ronan aveva passato molto tempo a giocare come unica macchina nera tra veicoli color confetto. Aveva bisogno di una due volumi o di una coupé. Quasi mai di una decapottabile. Nessuno voleva scompigliarsi i capelli. Ecco la lista dei desideri di un pilota clandestino: parti di ricambio su una qualsiasi macchina, tubi di scappamento rumorosi, parafanghi rasoterra, una presa d’aria cavernosa sul cofano, fanali tinti, fiamme diverse dipinte sulle fiancate. E un’auto qualsiasi con un alettone. Più sembrava una maniglia per sollevare la macchina, meglio era. La silhouette di una testa rasata o di un cappello indossato storto erano segni promettenti, come un braccio penzoloni fuori dal finestrino. Una mano abbronzata sullo specchietto era ancora meglio. I bassi potenti erano una chiamata alle armi. Lo erano anche le targhe, a meno che ci fossero scritte cose tipoHOTGURL o LVBUNY. Gli adesivi sul paraurti invece spegnevano l’entusiasmo, a meno che non rappresentassero radio appartenenti a college. Oh, e i cavalli non significavano nulla. La metà delle volte, le migliori macchine da corsa venivano guidate da banchieri di mezz’età spaventati da qualunque cosa si nascondesse sotto il loro cofano. Ronan di solito evitava le auto con più passeggeri, supponendo che un pilota solitario fosse più incline a consumare le gomme al cambio di luci del semaforo. Ma ora sapeva che i passeggeri giusti avrebbero incitato anche un pilota solitamente tranquillo. Non c’era nulla che a Ronan piacesse di più di un ragazzino abbronzato fuori per metà da una rumorosa e quasi morta Honda rossa piena di amici. Ed era così che iniziava: muso alto davanti al semaforo. Gli occhi dei piloti si incrociavano. Si spegneva l’aria condizionata per dare alla macchina qualche cavallo in più. Si portava su di giri il motore. Si sorrideva pericolosi.
Era così che Ronan trovava i guai, tranne quando i guai erano Kavinsky. Perché in quel caso, erano i guai a trovare lui.
Dopo la messa, Ronan e Noah si diressero verso il condominio in cui Kavinsky viveva con la madre. Ronan aveva avuto una mezza idea: mettere il paio di occhiali onirico nella cassetta della posta di Kavinsky, o lasciarglieli sotto i tergicristalli della Mitsubishi. L’aria condizionata era al massimo per combattere la calura di mezzogiorno. I grilli si cantavano serenate a vicenda. Non c’erano ombre.
«Abbiamo compagnia» disse Noah.
A un incrocio, Kavinsky accostò con la macchina alla BMW. Il semaforo diventò verde, ma la strada dietro di loro era vuota e nessuno dei due si mosse. I palmi di Ronan erano improvvisamente sudati. Kavinsky abbassò il finestrino. Ronan fece lo stesso.
«Frocio» disse Kavinsky, schiacciando l’acceleratore. La Mitsubishi emise un guaito e sussultò. Era un capolavoro magnifico e raccapricciante allo stesso tempo.
«Russo» rispose Ronan. Anche lui schiacciò l’acceleratore. La BMW ruggì, un po’ più piano.
«Ehi, piano con le parole.»
Aprendo il cruscotto, Ronan tirò fuori gli occhiali che aveva sognato quella notte. Li lanciò sul sedile del passeggero di Kavinsky attraverso il finestrino.
Il semaforo diventò giallo, poi rosso. Kavinsky raccolse gli occhiali e li studiò. Si calò il paio che indossava sul naso e li studiò ancora. Ronan fu contento di vedere quanto fossero simili le due paia. L’unica cosa che aveva sbagliato era il colore: la tinta onirica era un po’ più scura. Sicuramente Kavinsky, esperto falsario, li avrebbe apprezzati. Infine, Kavinsky fece scivolare lo sguardo su Ronan. Il suo sorriso era viscido. Compiaciuto del fatto che Ronan avesse capito il gioco.
«Ben fatto, Lynch. Dove li hai trovati?»
Ronan abbozzò un sorriso. Spense l’aria condizionata.
«È così che vuoi comportarti? Vuoi fare il difficile?»
Il semaforo opposto diventò giallo.
«Sì» disse Ronan.
Scattò il verde. Senza alcun preludio, le due macchine schizzarono fuori dai segni. Per due secondi la Mitsubishi fu avanti, ma Kavinsky cambiò la marcia, dalla terza alla quarta.
Ronan non lo fece. Kavinsky gli rombò accanto. Mentre Ronan svoltava l’angolo, Kavinsky suonò il clacson due volte e fece un gestaccio. Poi Ronan uscì dal suo campo visivo, diretto alla Monmouth Manufacturing.
Nello specchietto retrovisore si concesse il più lieve dei sorrisi.
Ecco come ci si sentiva a essere felici.