36. Simboli

Creato il 19 aprile 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su aprile 19, 2012

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Hai sentito dei rumori, hai avvertito l’ombra di gente che correva e urlava. Ti sei accorto di quello che accadeva, ma la scrittura ti prendeva troppo, ti chiedevi come tutta la luce che invadeva la tua vita, l’aura di fiaba, in famiglia, nella scuola, la faccia seria della maestra Battistoni, la pancia in fuori di Nazareno Pietroni, lo snobismo di Aldo Bises, tutto l’amore, la fiducia, gli angeli che passeggiavano nel corridoio di casa, i cornetti da Rossana, le partite al laghetto, in barba alla sorveglianza svogliata dei carabinieri, le palme-porte e i cespugli-linea del fallo laterale; ti chiedi dove siano finite le gomme riparate da Manzetti, gli oggetti allineati sugli scaffali colmi del Minimax – massima qualità, minimo prezzo -, ti chiedi, insomma, dove sia finita quella luce, perché siano calate le tenebre in un punto della tua esistenza, quale forza abbia compresso i sentimenti, blindato gli impulsi del tuo cuore. Ti domandi se la bambina che fuggiva non fosse che il mondo che hai perduto, l’innocenza di un tempo, la speranza di leggere di seguito il libro della vita. Ti sei accorto della donna che arrivava con gli occhi verdi e azzurri, e hai intuito che fra lei e te c’era qualcosa di comune, una rabbia per l’amore bruciato tutto in una volta, la parola cattiva, il gesto volgare, l’aggressione improvvisa che subisti sul campo di calcetto, quando Daniele Ippolito ti accusò insultandoti davanti a tutti e tu non capivi la ragione, forse l’invidia perché giocavi meglio, e t’interroghi su cosa possa proteggere dalla gelosia, se sia possibile non diventare vittime della violenza scatenata contro te solo perché sospettano che abbia qualcosa più di loro. Ti sei accorto dell’inquietudine della donna che chiamano Futura, il simbolo di un passato da cui devi riscattarti, la rivoluzione che prima o poi esplode per scrollarsi le catene, e capisci che scrivere su una moleskine è come pescare nel pozzo degli orrori: ci vuole coraggio, troppo coraggio per guardare in faccia la realtà. D’istinto, cerchi uno dei tanti segnalibri che porti nelle tasche, ma senti che una mano si poggia sulla tua e la voce di Fofner ti sussurra aspetta, ancora una pagina, e pensi a Veronica che vende i libri, che invita a non fermarsi, al suo corpo bianco che si apre inutilmente perché un giorno all’improvviso sei sparito, per chiedere il nome alla bambina, e pensi che Futura stia inseguendo lo stesso sogno tuo, che abbia fermato tutto pure lei, in un mattino azzurro e verde di aprile, che si domandi se ci sia una soluzione in questo labirinto che è la vita.


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