da qui
E’ bello vedere i palazzi illuminati dalle torce e i festoni, fotogrammi di un sogno in cui non si sa dove si stia né cosa ci aspetti dietro l’angolo. Camminano a lungo, osservando la città abbracciata dalla notte, tempestata di luci come un gioiello raffinato, il cielo capovolto con i grumi di stelle, dal blu-azzurro di Lacertae al bianco-azzurro di Regolo, dal bianco di Altair al rosso della Stella di Barnard fino all’arancione di Alfa Centauri; il minareto è un menhir che indica la via a chi volesse atterrare quaggiù anche soltanto col pensiero; il Muro è la pagina bianca di un bambino con le macchie d’inchiostro delle erbacce. Yoh’anan, Yaacov e Andreas capiscono che Yehochoua ha cercato di distrarli, di allargare l’orizzonte stretto del terrore con i ricami d’oro dei lampioni, la lava abbagliante del traffico stradale, i riverberi frastagliati e insieme compatti della cupola.
- Abbiamo paura.
Non si sa chi lo abbia detto: è il sentimento che li attraversa tutti, come un meteorite che fende rapido il nero della notte.
Yehochoua guarda le macchie gialle sulle mura, la luce delle torce che sembra oltrepassare le finestre, violare il segreto delle case, entrare nei sogni nascosti della gente.
- Il Regno è il più piccolo dei semi, non lo vedi nemmeno, eppure sta crescendo, come un pensiero, un ideale.
Yaakov, con la faccia da ragazzo, interpreta l’ansia dei compagni:
- Tutto funziona finché tu ci sei; ma se dovesse succederti qualcosa?
La città è un tappeto nero trafitto da disegni tutti d’oro.
- C’è qualcosa che non si spegne mai, neanche se lo vuoi. Se guardi all’orizzonte, non puoi distinguere l’ombra dalla luce: è il punto in cui tutto converge, inattaccabile dalla dissoluzione.
Un uomo li guarda, dal marciapiede di fronte: sembra inebetito, o forse è rimasto solo al mondo.