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4. Gerda

Da Vivianascarinci

1. Premessa

2. Il diavolo

3. Kay

beata thérèse se non è camminata se non è fermata Florinda Fusco

4. Gerda

Andersen riferisce che Gerda, disperata partì alla ricerca di Kay. Ma noi possiamo solo testimoniare che Gerda partì. Ora se partì verosimilmente alla ricerca del suo amico del cuore, chi può dirlo? Gerda partì perché non c’era più motivo di restare in quella città. E poi di un viaggio, nonostante le nostre intenzioni, si può sapere solo quale sia il punto di partenza. Quindi Kay forse era morto o forse stava solo capendo chi fosse l’uomo che aspettava di diventare a rischio della sua stessa vita. Allora Gerda decise di indossare un paio di scarpette rosse, che aveva comprato dopo la scomparsa di Kay e che Kay non si sarebbe mai potuto figurare come le stessero bene ai piedi, qualora fosse veramente morto o fosse diventato il principe consorte della neve, che poi era la stessa cosa. Quelle scarpette rosse erano per Gerda una cosa della massima importanza, erano le prime scarpe che avesse scelto da sola e le aveva scelte rosse con un’audacia che stava solamente cercando il modo di comunicarsi a Gerda come una delle sue virtù più risolutive. Un’altra famosissima favola di Andersen riguarda proprio un paio di scarpette rosse e da queste prende il titolo. La favola racconta il desiderio che queste suscitarono in una ragazza e la responsabilità che ebbero riguardo la sua fine tragica.  Sicuramente le scarpe da donna, meglio se rosse, erano un elemento che Andersen considerava fondamentale e allo stesso tempo viveva in modo contraddittorio infatti l’autore dedicò loro una della sue favole più importanti e complesse. Che Andersen amasse le scarpe femminili è dimostrato dalla sua attenzione verso le credenze e verso la religiosità dei suoi luoghi d’origine, che attribuivano alle scarpe rosse un valore altamente seducente e perciò demoniaco. Ma la posizione controversa del poeta danese al riguardo emerge ancora meglio dal suo genio che spesso lo condusse a un vero e proprio contraddittorio interiore espresso da trame che andavano molto oltre la trasposizione di una tradizione orale o scritta in cui venivano tramandate storie di povere fanciulle che soccombevano per mano del castigo divino nei confronti della loro vanità. Ad esempio un’evidenza della malcelata antipatia di Andersen verso la più che nota sproporzione biblica tra esiguità della colpa e crudeltà del castigo, ci viene dalla sottilissima ironia che ammanta una favola meno famosa di Scarpette rosse ma altrettanto interessante, che si intitola La ragazza che calpestò il pane. Questa è la storia di una fanciulla che per non sporcarsi le scarpette fiammanti  getta in terra, e tratta come un zerbino il pane, destinato a sua madre poverissima. Chiaramente l’universo le si scatena contro e lei finisce istantaneamente  morta ammazzata  e gettata in un inferno che somiglia a quel nono girone di cui sopra. Ma sempre in questa favola però compare a mescolare  singolarmente le carte  del destino ancora una volta una figura femminile incredibile che appartiene alla sfera intima di Satana: la sua bisnonna. Questo personaggio molto rispettato, nota subito che la ragazza che ama su tutto le sue scarpe nuove, è molto ben predisposta a peccare. E la vuole avere per cariatide in casa, la stessa casa di Lucifero che qui, più che lo spaventoso satanasso che tutti sanno, appare un tenero nipote che vive ancora con la bisnonna più ciarliera che gli inferi ricordino. E’ calzando quelle stesse controverse scarpe rosse che Gerda,  prima di partire per il suo viaggio, uscì dalla città e si recò un’ ultima volta al fiume, l’unico luogo da  cui aveva sempre avuto risposte. Continua …

da “La regina della neve nella riscrittura quasi fedele di Viviana Scarinci”


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