4 maggio: MINIPORTRAIT @ Studio Giolli Arte Contemporanea

Da Polaroiders

Sabato 4 maggio alle ore 18:30, si terrà l’inaugurazione della mostra “Miniportrait“di Giuseppe Giacobino, presso lo Studio Giolli Arte Contemporanea, vicolo dei lavandai 4, Milano.

La mostra sarà visibile dal 4 al 30 maggio 2013 secondo i seguenti orari di apertura: dal lunedì al sabato, dalle 16:00 alle 19:30. Per ulteriori informazioni: 3479870075

VERSO UN NUOVO LINGUAGGIO DELLA FOTOGRAFIA

“Le opere che presento in questa personale allo Studio Giolli, sono delle fotografie istantanee scattate con una macchina analogica per fototessera degli inizi anni sessanta, una vecchia “Polaroid miniportrait”. Questo obsoleto strumento ha la caratteristica di ottenere quattro immagini identiche, con un solo scatto, su una pellicola che viene subito dopo estratta manualmente. Ma prima di discutere dell’aspetto più propriamente artistico, c’è da svelarvi un piccolo particolare tecnico. La macchina in questione possiede una disposizione con cui si può scegliere di oscurare tre obiettivi ad ogni scatto, ottenendo, così, con quattro scatti, quattro immagini differenti su una singola pellicola. Svelato rapidamente l’ovvio arcano, passo col dirvi che è stata proprio questa caratteristica a farmi propendere verso il suo utilizzo. Mi stuzzicò inizialmente il fatto di poter ristrutturare la temporalità data dalla fotografia canonica operando una sorta di “congiunzione” temporale, cioè producendo una composizione di quattro temporalità assestanti di ripresa in una unica temporalità di sviluppo. Il risultato è stato quello di ricreare, in una unica pellicola, quattro differenti realtà: quattro oggetti assestanti, quattro dimensioni discordanti, quattro oggetti ripresi in quattro temporalità distinte e sviluppate poi in una unica temporalità, una composizione a quattro immagini che si dà ad una lettura sia verticale che orizzontale che obliqua che d’insieme. Man mano che procedevo all’analisi degli elementi che componevano la ricerca, mi sono accorto che questa cedeva gradualmente il passo a una nuova ricerca. Una ricerca più propriamente in ambito semiologico-estetico. In poche parole mi sono reso conto che stavo operando, inconsapevolmente, in una particolare decostruzione semantica all’interno del linguaggio fotografico. Che stavo producendo, man mano che la ricerca prendeva forma, una nuova struttura che ho successivamente definito (paradossalmente, ora, proprio con la lingua) come “controlinguaggio”, una messa in ridicolo della lingua: una messa in discussione, quale limite, del pensamento linguistico. Più che un contro-senso-comune, caratteristica ancora presente nell’arte contemporanea come provocazione a matrice dadaista, l’atto del controlinguaggio è un’azione di controtendenza alla significazione, cioè a un non voler edificare significazioni interne alla lingua se non di rappresentarne il suo limite. La dialettica degli elementi che interagiscono all’interno della composizione dei miei lavori non varia la loro dominante segnica (come per esempio avviene con il rady made di Duchamp oppure col ferro da stiro con i tredici chiodi fissati alla base di Man Ray), ma sposta l’attenzione del fruitore verso le loro pure datità formali (quindi facendo agire un linguaggio più arcaico di quello della lingua: quello naturale) oppure inducono a una forzosa narrazione (creando spaesamento). In ambe due i casi il risultato ottenuto è quello di una composizione fotografica (fatta di immagini di oggetti conoscibili) inclassificabile. In questa struttura non viene ne alterata la loro funzione ne spostata, ma si rafforzano per sgombrare la dominante segnica dal campo di lettura dell’opera. Anche se a primo sguardo potrebbero sembrare opere collocabili in una o a più delle ricerche artistiche contemporanee, non devono essere attribuite a nessuna di esse. Non devono essere assolutamente confuse come opere neo neo neo dadaiste (anche se sono per forza di cose eredi del dadaismo) ne come una messa in scena neo neo neo pop (in quanto nel loro interno non si enfatizza nessuna produzione consumistico-mitizzante) ne con le opere concettuali degli anni settanta (in quanto posseggono comunque e in ogni caso caratteri di apertura e non di chiusura semantica) ne di tutte le opere a struttura narrante, ma ad esse tutte quante parallele.”

Giuseppe Giacobino



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