Tempo fa qualcuno mi disse che per aprire una casa editrice è sufficiente un PC, un fax e un telefono; secondo qualcun altro invece, l’unico elemento importante per entrare nel mercato editoriale è la passione per i libri; altri ancora ritenevano che senza una base economica sostanziosa non sia neanche possibile lasciar ventilare una simile idea. Tutto questo per chiarire che di opinioni sul mondo dell’editoria ce ne sono tantissime e, nella stragrande maggioranza dei casi, sono divergenti.
Per come la vedo io, e per dirla alla Sorrentino, hanno tutti ragione. Gli elementi che a mio avviso devono essere seriamente tenuti in considerazione sono in pratica una miscela di tutti i consigli che mi hanno offerto nel tempo:
- Il progetto. Tra gli errori più eclatanti che commisi quando nacque la Bel-Ami Edizioni fu proprio questo: partire senza un progetto definito, lasciando che gli anni, le esigenze del mercato e i nostri gusti personali lo modellassero man mano (e lo modellano tutt’ora). Se da un lato questa linea di condotta ci ha permesso di consolidare esperienza su numerosi settori e rivolgerci durante le fiere a una più ampia fetta di mercato, dall’altro non ci ha consentito di creare una nostra personalissima nicchia di pubblico. E questo ci ha penalizzato soprattutto in ambio distributivo.
- La gavetta. Se il progetto fosse l’epidermide della casa editrice, la gavetta costituirebbe l’ossatura. Senza gavetta non ci possiamo reggere in piedi e al primo problema serio, finiremmo irrimediabilmente in ginocchio. L’editoria è uno di quei settori dove non esiste un tetto di esperienza e quando pensi di aver capito tutto è il momento in cui non hai capito niente. Sebbene mi sia affacciato nel mondo dell’editoria durante i primi anni Duemila, presso le Edizioni Socrates, credo di saperne ancora poco sui numerosi e complessi meccanismi che regolano questo settore.
- Lo staff. Creata la pelle e sistemato lo scheletro, per muoverci ci servono i muscoli e senza uno staff affiatato e compatto si rischia di rimanere costantemente immobili. Il ruolo più importante all’interno di una casa editrice – incredibile ma vero – è chi cura l’amministrazione: se manca questo ruolo, tanto vale aspettare. Non è importante avere uno staff di amici, tutt’altro (nel lungo periodo diventa sempre più difficile dire “no” senza pregiudicare i legami affettivi): la Bel-Ami Edizioni ha cominciato come un gruppo di sconosciuti dove il collante non era costituito dall’amicizia bensì dalla professionalità.
Avere una sede è importante solamente dal punto di vista della rappresentanza o come punto vendita. Per tutto il resto si può lavorare serenamente da qualsiasi parte del mondo.
Anche le esigue disponibilità economiche non rappresentano un problema se, in fase di ideazione, si ha avuto la pazienza di creare un business plan dettagliato e, soprattutto, verosimile. Anzi, secondo me, partire con pochi soldi ci permette di fare scelte molto più oculate. Stessa cosa vale per le conoscenze in ambito letterario: è importante, certo, avere visione del panorama letterario classico e contemporaneo ma se non hai la sensibilità e l’esperienza per individuare il talento nei tuoi potenziali scrittori, ci farai ben poco.
Sebbene siano in molti a pensarla diversamente da me, a tutti coloro che vogliono aprire una propria casa editrice (non a pagamento, ovvio) dico “provateci!”. Vi farete un culo come un secchio, guadagnerete poco o niente, vivrete l’esperienza di organizzare una presentazione deserta, vi congelerete o morirete di caldo durante le fiere, sarete insultati, passerete le notti a correggere un autore che leggeranno in dieci (compresi i suoi parenti), conoscerete il peggio del peggio che è nascosto sotto il tappeto più lurido dell’editoria ma comunque vada, anche se foste costretti a chiudere dopo un mese, anche se ci avrete rimesso di tasca vostra (e ci rimetterete!), ne sarà valsa sempre e comunque la pena.