1. Premessa
2. Il diavolo
3. Kay
4. Gerda
Quanti rapimenti e atroci delitti sarebbero più facilmente scoperti o annullati in anticipo se si sapessero ascoltare dovutamente lucertole e api, aviatori morti e cavalli del Sole, matti, briganti antichi e moderni, santi e donne della notte senza farsi ingannare dell’apparente moto unidirezionale del tempo. L’autore – che un po’ si nasconde dietro il Beato Commento e se ne bea – nel passare degli anni ha imparato che il grande Indriovanti vale anche per la sua propria vita, trovandosi egli a volte a chiacchierare ora col proprio se stesso bambino, ora con quello adolescente, ora con quello ragazzo o giovanotto o uomo fatto, e con le presenze che tutti quei se stesso hanno intorno, e con gli incontri avvenuti di allora in allora, cercando di adattarsi all’inarrestabile metamorfosi di tutti e tutto. Giuliano Scabia
ma non stiamo a dilungarci, questa è un’ala della stanza muta, piena di
DESIDERI INFRANTI, INFRANTI, INFRANTI …
(in un angolo, si presume un bambino
piange come lasciato solo.) Patrizia Vicinelli
5. La donna esperta di magia
A questo punto Gerda fece una cosa incomprensibile, prese le scarpe rosse e le gettò in acqua, forse perché il sacrificio della sua audacia le parve una cosa necessaria al fine di riavere Kay. Ma si sbagliava e il fiume con un gesto tranquillo gliele restituì. Allora Gerda finse di non capire, prese una barca, arrivò a largo e getto di nuovo le scarpe in acqua. Fu qui che il fiume prese posizione, visto che Gerda non voleva intendere. L’acqua si inventò una corrente abbastanza forte da far perdere a Gerda il controllo della barca. Il fiume così le impose di iniziare il suo proprio viaggio. Prima Gerda ebbe paura, su quella barca trascinata non si sa dove con indosso solo le calze ma poi la paura passò perché cominciò a guardare le sponde del fiume e vide un paesaggio tanto bello quanto sconosciuto, così sconosciuto da apparire familiare, come solo accade a quello che incontriamo la prima volta e ci dimostra che esistono parentele con luoghi e persone molto più radicate di quelle che conosciamo fin dalla nascita. E infatti la barca si fermò davanti a una casetta immersa nella campagna solitaria, Gerda scese senza paura e bussò a quella porta. La donna che aprì si trovò davanti una bambina senza scarpe con l’aria di aver pianto più lacrime di quanto a quell’età se ne abbia a disposizione. Però non vide solo quello, perché la donna era una strega perciò sapeva tutto, non proprio come sa tutto il diavolo, ma quasi. “Una bambina così bella era da tanto tempo che la sognavo” disse la vecchia tra sé “Adesso vedrai come ce la intenderemo bene noi due” e sospingendo dolcemente Gerda dentro casa, chiuse la porta a chiave.
C’è da dire che la strega che accolse Gerda in casa non era cattiva. Lo era solo un po’, come lo sono quelle persone che sono disposte a rubare e ingannare non per abitudine ma solo se qualcosa o qualcuno piace loro tantissimo. E Gerda a quella strega piaceva da impazzire tanto che decise di ingannarla purché restasse quanto più a lungo possibile con lei. Allora si servì della magia. Mentre Gerda dormiva, dopo aver mangiato straordinarie ciliegie magiche, la vecchia uscì di casa e con un colpo del suo bastone costrinse ogni rosaio del giardino a tornare per intero sottoterra come rimangiandosi i fiori, la gemmazione, il fusto, le spine in modo che le rose non potessero ricordare a Gerda nulla del giardino condiviso con Kay, né del misterioso disgusto per le rose che aveva colto il ragazzo poco prima di sparire. E poi dal giorno successivo seppe dare a Gerda la piacevole abitudine di essere pettinata a lungo dalle mani di una strega, mani che poi a volte reggevano un pettine fatato che smemorava, cosicché Gerda si trovò senza passato nella casa di un giardino fatato di cui per incantesimo le sembrò di essere la padrona. Ma Gerda era destinata a non essere padrona di nulla, né tanto meno a dilettarsi di stregoneria, come la sua ospite. E’ a questo punto che successe una cosa che la strega non era stata in grado di prevedere, poiché la vecchia era insuperabile in fattucchierismi e manipolazioni, meno capace quando si trattava d’essere previdente: la strega si dimenticò di far sparire l’ultima rosa rimasta in casa, quella che pendeva dal suo cappello. Così quando Gerda una sera, molto tempo dopo il suo arrivo in quella casa, si prese la briga di osservare meglio la sua ospite, si accorse che le pendeva dal capo proprio una rosa dello stesso colore di quella che Kay le aveva indicato con disgusto prima di sparire. Bastò quello a farle ricordare improvvisamente tutto. Ma non disse nulla, e di notte quando la strega finalmente si addormentò, uscì nel giardino per piangere tutto il tempo che aveva perso imprigionata in quella falsa estate. Qual era la vera stagione oltre la siepe del giardino fatato della strega? Si chiese, mentre finalmente ritornava la sua audacia a renderla capace di tutto. Allora le rose che non poterono più trattenersi dallo stare sottoterra, le dissero “Noi sottoterra ci siamo state, là ci sono tutti i morti, ma Kay non c’era”. Il cancello del giardino era chiuso ma fu a quelle parole dette dalle rose che Gerda alzo il gancio e ancora una volta a piedi nudi, trovò la via della fuga. Continua …
da “La regina della neve nella riscrittura quasi fedele di Viviana Scarinci”