51. Baci Perugina

Creato il 07 novembre 2010 da Fabry2010

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Ciò che succede tra Maria e Andreas ai bordi della Senna, dopo il primo accostarsi delle labbra, non sarà oggetto di descrizioni puntuali, più adatte, in questo caso, al genere romanzo erotico. La situazione, tuttavia, ha un risvolto significativo, poiché il lettore sa che sul romanzo pesa il controllo occhiuto di Ruperto il Pievano, che potrebbe stroncarlo per la seconda volta nell’inserto culturale del Giornale di Vicenza. La settimana scorsa lo aveva preso alla larga:
È vero che da questa allagata e melmosa pievanía berica le prediche sono facili da fare, ma, insomma, cercate un po’ di capire. La grammatica dei sentimenti è stata, come dire, stirà su un panàro grando da che la letteratura è passata per la crisi dell’engagement, e chi scrive ha, secondo me, il compito di ritrovare l’asciuttezza della vita interiore, la perspicuità delle parole non usurate. Anche se è difficile, perché tanta parte del discorso pare usurata. Trascrivo una citazione da Pamuk: “I libri aggiungono all’infelicità dell’uomo una profondità che scambiamo per consolazione”. Suona male, sarà la traduzione, che ne so io che cosa Pamuk abbia effettivamente detto in turco. All’infelicità aggiungiamo spessore, altezza, estensione, ampiezza, volume, densità, calore, freddo. Misura, in una parola. Cioè limpidezza. Un romanzo sulla scrittura ha a che vedere con lo stato attuale della nostra umanità.
La tentazione di provocarlo è irresistibile; si potrebbe immaginare un enorme Bacio Perugina, delle dimensioni del barattolo di Nutella in Bianca di Moretti; nella carta avvolgente si trascrivono le parole che ora Andreas, con gli occhi lucidi, sussurra nell’orecchio di Maria:
- Voglio che tu sappia una cosa, tu sai com’è questa cosa. Se guardo la luna di cristallo, il ramo rosso del lento autunno alla mia finestra, se tocco, vicino al fuoco, l’impalpabile cenere, o il rugoso corpo della legna, tutto mi conduce a te, come se ciò che esiste, aromi, luce, metalli, fossero piccole navi che vanno verso le tue isole, che m’attendono. Orbene, se a poco a poco cessi di amarmi, cesserò di amarti, a poco a poco; se d’improvviso mi dimentichi, non cercarmi, che già ti avrò dimenticata; se consideri lungo e pazzo il vento di bandiere che passa per la mia vita e ti decidi a lasciarmi sulla riva del cuore in cui ho le radici…
Maria lo interrompe:
- E’ una poesia di Neruda!
- L’ho trovata in una carta di cioccolatini, speravo non l’avessi letta.
- Sei unico, Andreas! Pensa se ti sentisse Ruperto il Pievano: ti stroncherebbe per aver smarrito l’asciuttezza della vita interiore, la perspicuità delle parole non usurate.
- Pensi che ci legga?
- Dicono che tenga d’occhio ogni romanzo dopo il Concilio di Vicenza presieduto da papa Luigi Nono, che ha firmato la costituzione Ad abolendam diversarum poetarum pravitatem, perfezionata con la bolla Ad estirpanda, in cui si autorizza la tortura.
- Conviene cancellare ogni traccia delle scene.
- Prima, però, finisci la poesia: è così bella!
Andreas è intimidito, ma non può rifiutarsi:
- Pensa che in quel giorno, in quell’ora, leverò in alto le braccia, e le mie radici usciranno a cercare altra terra…
La pioggia battente si confonde con le lacrime che scendono sulle guance di Maria. Si abbracciano per l’ultima volta, poi prendono la carta avvolgente in cui si registra parola per parola, gesto per gesto il loro amore, e la fanno in mille pezzi, che gettano con una smorfia dolorosa dentro il grembo oscuro della Senna.



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