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#52 Teaser Tuesday!

Creato il 07 luglio 2015 da Chiara

Buongiorno bestioline, come state?
Qua si tiene duro, si studia tanto e si cerca di sopravvivere al caldo infernale che sta soffocando Forlì. In questi giorni mi sta tenendo compagnia un libro meraviglioso, un po’ vecchiotto ma non per questo meno apprezzabile: Il racconto dell’ancella, di Margaret Atwood. Si tratta di una distopia eccezionale, scritta magistralmente, che ad ogni riga lascia qualcosa su cui riflettere, qualcosa di straordinariamente attuale, quindi perché non lasciarvene un assaggio nel teaser di oggi? Appunto.

#52 Teaser Tuesday!

La notte è mia, il mio tempo, posso farne ciò che voglio, purché me ne stia zitta e ferma. Purché giaccia immobile. La differenza tra giacere e do- ver stare a letto. Dover stare a letto è un concetto passivo, anche gli uomini dicevano: mi piacerebbe dover restare a letto per un po’. Ma qualche volta dicevano: mi piacerebbe portarla a letto. Sono solo elucubrazioni. Non so davvero che cosa dicessero veramente gli Uomini. Avevo solo le loro pa- role per giudicare.
Giaccio, quindi, nella stanza, sotto l’occhio di gesso del soffitto, dietro le tende bianche, tra le lenzuola, candide come le tende, e faccio un passo in là fuori dal mio tempo. Fuori dal tempo. Sebbene questo non sia tempo, né io ne sia fuori. Ma la notte è il mio tempo libero. Dove andare?

In qualche posto piacevole.
Moira, seduta sulla sponda del mio letto, con una gamba sull’altra, una caviglia su un ginocchio, nel suo grembiule viola, con un orecchino ciondolante, le unghie dipinte con lo smalto color oro e una sigaretta tra le dita tozze, gialle in punta. Decidiamo di andare a bere una birra.
«Mi stai facendo cadere la cenere sul letto» dico.
«Se fossi tu a farla cadere non te ne importerebbe» risponde Moira. «Usciamo tra mezz’ora» dico. Avevo una ricerca da preparare per il giorno successivo. Cos’era? Psicologia, inglese, economia. Studiavamo queste cose, allora. Sul pavimento della stanza c’erano libri, aperti a faccia in giù, qua e là, in maniera disordinata.
«No, usciamo adesso» dice Moira, «non hai bisogno di truccarti, ci sono solo io. Di che tratta la tua ricerca? Ne ho appena fatta una sullo stupro durante gli appuntamenti amorosi».
«Lo stupro durante gli appuntamenti amorosi?» dico. «Come sei alla moda. Sembra il titolo di un nuovo trattato sociologico sul porno-orrore».
Moira ride. «Vai a prendere il vestito».
Lo prende lei e me lo getta.
«Dovresti prestarmi cinque dollari, okay?»

Ricordo un’altra volta, in un parco, con mia madre. Quanti anni avevo? Faceva freddo, si vedeva il fiato uscire dalla bocca, non c’erano foglie sugli alberi; cielo grigio, due anitre nel laghetto, tristi. Toccavo le croste di pane che avevo in tasca. Mia madre aveva detto che saremmo andate a dar da mangiare alle anitre. Ma c’erano delle donne che bruciavano i libri, era questo il vero motivo per cui aveva voluto andare al parco. Per vedere le sue amiche; mi aveva mentito. Era inteso che il sabato fosse il mio giorno. Mi ero allontanata da lei, imbronciata, ed ero andata verso le anitre, ma il fuoco mi aveva costretto a tornare indietro. C’erano anche degli uomini, in mezzo alle donne e non bruciavano libri, ma riviste. Dovevano averci versato sopra della benzina, perché le fiamme guizzavano alte, mentre loro vi gettavano sopra le riviste, tolte dalle scatole, poche per volta. Tra le donne qualcuna cantava.
I volti erano felici, quasi estatici. Il fuoco può fare questo effetto. Si era- no avvicinati dei curiosi. Anche il viso di mia madre, solitamente pallido, emaciato, pareva rubicondo e allegro, come in una cartolina di Natale; ricordo un’altra donna, grossa, con la guancia sporca di fuliggine e un berretto arancione fatto a maglia.
«Vuoi bruciarne una anche tu, tesoro?» mi aveva chiesto. Quanti anni avevo? «Via, una buona volta, tutta questa immondizia» aveva detto ridendo e, rivolta a mia madre, aveva aggiunto: «Glielo permetti?»
«Se vuole» aveva risposto mia madre. Parlava di me, con gli altri, come se io non fossi presente.
La donna mi aveva dato una rivista. Sopra c’era il disegno di una donna graziosa, senza vestiti addosso, appesa al soffitto con una catena che le stringeva le mani. L’avevo guardata con interesse. Non ne ero rimasta impressionata, avevo pensato che si stesse penzolando da una liana, come Tarzan, in un film che avevo visto alla televisione.
«Non fargliela guardare» aveva detto mia madre. «Via» mi aveva ordinato, «gettala nel fuoco, svelta».Avevo gettato la rivista nelle fiamme. Si era squadernata nel vento mentre bruciava; grandi fiocchi di carta si erano staccati, volteggiando nell’aria, ancora in fiamme, corpi di donne erano mutati davanti ai miei occhi in cenere nera.

Ma dopo, che è successo?
Ho dei vuoti di memoria.
Si devono essere aiutati con iniezioni, pastiglie, qualcosa del genere, altrimenti ricorderei.
«Hai avuto uno shock» mi hanno detto.
Sono rinvenuta in mezzo a rimbombi e confusione, come il ribollire di una risacca. Ricordo di essermi sentita molto calma. Ho gridato o forse mi è parso un grido ed era solo un sussurro, Dov’è lei? Che avete fatto di lei? Non era né notte né giorno; c’era solo un barlume di luce. Dopo un po’ ho avuto di nuovo delle sedie, un letto e una finestra.
«È in buone mani» mi hanno detto. «Con gente capace. Tu non lo sei, ma vuoi il meglio per lei. Non è così?»
Mi hanno mostrato una sua fotografia, all’aperto, in piedi su un prato. Il volto era un ovale chiuso. Aveva i capelli chiari raccolti stretti sulla nuca. Una donna che non conoscevo la teneva per mano. Lei le arrivava solo al gomito.
«L’avete uccisa» ho detto. Sembrava un angelo, solenne, composta, fatta d’aria. Indossava un abito che non avevo mai visto, bianco e lungo sino a terra.

Mi piacerebbe credere che sto raccontando una storia. Ho bisogno di crederci. Devo crederci. Coloro che possono crederlo hanno migliori possibilità. Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera. Posso continuare da dove ho smesso. Non è una storia che sto raccontando.
E anche una storia che ripeto nella mia testa.
Non la scrivo perché non ho nulla con cui scrivere e lo scrivere è comunque proibito. Ma se è una storia, anche solo nella mia testa, dovrò pur raccontarla a qualcuno. Non racconti una storia solo a te stesso. C’è sempre qualcun altro. Anche quando non c’è nessuno. Una storia è come una lettera. A voi. Comincerà così, semplicemente, senza nomi. Un nome crea un collegamento col mondo fattuale, che è più rischioso, più azzardato: chi sa quali sono, fuori, le possibilità di sopravvivenza? Le vostre?
Dirò a voi, a voi, come una vecchia canzone, voi significa più d’uno.
Voi può significare migliaia.
Non mi trovo in nessun pericolo immediato, dirò. Farò finta che voi mi possiate udire.
Ma non serve, perché so che non potete.

#52 Teaser Tuesday!

#52 Teaser Tuesday!
In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un dovere da compiere nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che, dopo la catastrofe, sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Comparso per la prima volta in Italia negli anni Ottanta, il romanzo della Atwood conserva tutt’oggi la sua attualità. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionalizzati, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica.



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