E’ la pagina più nera nella storia della Turchia repubblicana: il pogrom che, nella notte tra il 6 e il 7 settembre del 1955, portò al sistematico saccheggio degli esercizi commerciali, della abitazioni private, delle chiese, dei cimiteri dei romei di Istanbul. Fu l’inizio della fine: la fine di una comunità che aveva resistito alla guerra ed era stata esentata dallo scambio delle popolazioni del 1923, che finiva vittima delle pulsioni ultranazionalistiche legate alle tensioni sul futuro di Cipro (allora colonia britannica in attesa di conoscere il proprio futuro). Bastò la notizia di una bomba alla casa natale di Atatürk a Salonicco – opera non di un greco, ma di un turco che lavorava al consolato: ma la stampa di Istanbul non lo specificò – per scatenare un’ondata non interamente spontanea – ma ben preparata – di terrificante violenza. I danni materiali furono ingenti, ci furono alcuni morti e vennero denunciati stupri: 15mila persone (sulle 70 mila totali) partirono negli anni immediatamente successivi, il colpo di grazia ci fu con le espulsioni del 1964 (dopo la guerra inter-etnica cipriota) di tutti coloro che non avevano la cittadinanza turca. Oggi, come ho scritto recentemente, sono rimasti in 2000.
Per 50 anni, il silenzio: rotto tra le polemiche anche feroci nel 2005, con una mostra fotografica organizzata qui a Istanbul dalla Tarih Vakfı (Fondazione di storia); e negli ultimissimi anni sono usciti degli studi accademici (ma è molto utile anche The Mechanism of Catastrophe. The Turkish Pogrom of September 6-7, 1955, and the Destruction of the Greek Community in Istanbul, la ricostruzione imponente che ne ha fatto – sempre nel 2005 – il bizantinista Speros Vryonis) e anche un film: in attesa che la mia amica Anna Theodorides finisca la sua tesi di dottorato sulla memoria e sull’oblio di quegli eventi nella comunità rum, di quelli rimasti a Istanbul o di quelli espulsi o fuggiti ad Atene (io ho il privilegio di leggere in anteprima le trascrizioni delle interviste: storie crudeli, ma non mancano quelle in cui i vicini turchi hanno salvato la vita ai romei).