Per il prossimo 6 maggio, la Cgil ha proclamato lo sciopero generale nazionale di tutti i settori per l’intera giornata.
Lo sciopero nazionale è stato indetto per cambiare la politica economica e sociale del Governo, per un fisco più giusto a favore di lavoratori e pensionati, per la tutela dei diritti, per il contratto nazionale, per la democrazia nei luoghi di lavoro, per dire No al precariato e per creare lavoro per i giovani.
Purtroppo le altre sigle sindacali non partecipano. Cisl e Uil hanno detto no.
Davanti a Napolitano, che ha ricevuto i sindacati nella ricorrenza del primo maggio, Cisl e Uil hanno detto che “sono uniti”, ma se non partecipano nei fatti a questa sbandierata unità, dimostrano quella “ipocrisia istituzionale” che ha denunciato il Presidente della Repubblica.
Bonanni, a Marsala, se n’è uscito con una “cavata” parolaia di non senso: ha detto che “anche se i sindacalisti non sono uniti, i lavoratori invece lo sono”! Che significa? Che chi è a capo di una organizzazione sindacale lo fa così per sport o tanto per parlare o per essere ricevuto dal mondo imprenditoriale, ma i lavoratori fanno quello che pare a loro? Ma allora che ci stanno a fare se si sentono separati da coloro che rappresentano o vanno a rappresentare?
Sono anni, ormai dieci anni di fila, che questa maggioranza governa, che ha un ministro sempre più attaccato alle braghe dei padroni, ed i lavoratori sono sempre più screditati, bistrattati, ricattati e stanno pagando prezzi altissimi questa crisi economica.
Con busta paga che rasenta il ridiciolo, si costringono i lavoratori a turni massacranti, a straordinari obbligatori, a mancate pause di lavoro per riposare le braccia, e soprattutto si attenuano le misure di sicurezza, perchè secondo il genio dell’economia italiana, la sicurezza è un lusso.
E così, tutti i giorni, qualche lavoratore, uscito di casa la mattina presto per guadagnarsi il pane, non torna a casa, lascia la vita sul posto insicuro dove lavora.
Smettiamola di raccontarci balle, qui si vogliono trasformare i lavoratori in schiavi, con la corda al collo e pagati, come un tempo, con solo un piatto di minestra. Niente per il futuro, niente per la pensione, niente per la propria famiglia.
Altro che progressi e modernismi, stiamo tornando ai tempi “dei servi della gleba” o giù di lì.
Un tempo chi lavorava veniva definito “risorsa umana”. C’è qualche padrone o qualcuno al governo che considera ancora un paio di braccia e due mani callose una risorsa anzichè un peso da pagare?
Dobbiamo unire le nostre forze e scendere in piazza. Anche se costa di tasca nostra. Scioperiamo, spero in tanti, contro questo continuo tentativo di ridurci ad una massa indistinta di individui da sfruttare.