62. Una favola

Creato il 16 novembre 2011 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su novembre 16, 2011

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Selma, dicevo, ancora Selma. Fu Johnson a cambiare musica, come se a un certo punto cominciasse un concerto finalmente armonico, vogliamo dire Mozart?
Mi sentivo felice – ti è mai capitato? Sai, quando ti prende dentro, ti lasci invadere da qualcosa di più grande: vogliamo usare il termine miracolo?
C’è chi lustra le scarpe agli altri, per tirare avanti. Hai mai conosciuto un lustrascarpe? Persino il suo mestiere si può fare con il cuore.
Parlò contro la violenza, a favore della democrazia e dell’uguaglianza.
Un presentimento si faceva strada, come fossero due marce sovrapposte, come se nel momento della gloria si manifestasse quello della morte.
I ricchi, a volte, hanno una faccia triste, forse perché sono preoccupati, perché nella borsa c’è qualcosa di valore, perché il mondo intorno può assumere l’aspetto di una rapina a mano armata.
Parlò di promesse: il voto, la desegregazione, l’equità sociale, note che a noi parevano di un altro mondo, melodie che non avevamo mai ascoltato.
Può esistere una felicità in cui si annida la malinconia? Hai mai visto una risata in cui s’intravede un’ombra di tristezza?
I ricchi, a volte, vanno dritti per la loro strada: li vedi decisi, rapidi, spietati. Sembra che niente e nessuno possa toccargli il cuore.
Parlò di merito, di conquiste personali, traguardi di comunità: la voce era una corda di violino, la lingua un archetto che scivolava con dolcezza o con vigore.
Sai quando canti di gioia e scendono le lacrime? Quando fai l’amore e ricordi tuo padre che sta male? Quando prendi il sole e una nuvola nera appare sulla testa, all’improvviso?
Il lustrascarpe resta in piedi, con le braccia aperte: mette l’anima nel suo lavoro, crede che il cuoio lucido abbia un senso.
Parlò di pregiudizi, disse che è da stupidi guardare il colore della pelle e farne un handicap oppure un privilegio.
A volte immagini una scala che raggiunga la memoria dei tuoi sogni, quelli che al mattino svaniscono e tu insegui inutilmente.
Sai quando, durante un matrimonio, all’improvviso ti viene in mente un funerale? Magari quello della bambina di tre anni, coi genitori che annuiscono con un movimento impercettibile del capo, mentre il prete scandisce le parole, una musica struggente che ti rapisce per un istante solo.
I ricchi, a volte, perdono la loro sicurezza, basta niente a ridurre in pezzi il castello che si sono costruiti, a ritrovarsi in uno spazio buio dove il denaro non conta e il potere è un’eco lontana di cui non afferri più il messaggio.
Disse che chi fa il male ne è anche vittima, che l’insulto ti ricade addosso, il disprezzo si trasforma in veleno che consuma gli intestini.
E pregavi, pregavi, che ritornasse in mente un gesto, una parola, magari il volto di lei, che ora ti appare più sfocato, come in una nebbia – eravate così vicini che non distinguevate più le mani, i pensieri, le emozioni.
Ma ti senti finalmente libero, come non avresti mai pensato e ti chiedi se tu stia sognando e temi che sfumi il calore della folla, le mani che applaudono, l’uomo che sale sul traliccio per vedere meglio.
Sì, i ricchi, a volte, perdono tutto in un momento, mentre il lustrascarpe è felice di aver fatto bene il suo mestiere, di essere fedele a una missione così insulsa e preziosa nello stesso tempo.
Disse che il male è una macchia d’olio che si allarga, un fumo che penetra la casa e impedisce di vedere, una rosa gualcita irrimediabilmente.
All’improvviso ricordi: eri un gabbiano, un sogno ricorrente, come se il volo fosse quello che ti aspetta, come se le ali che credevi di aver perso si riformassero per un miracolo inatteso, e ora planassero lente sulle acque agitate della storia.
Felicità e tristezza si stringono di notte in un abbraccio che contiene il mondo, il suo mistero irriducibile, il segreto che non avevi mai compreso e solo adesso, appena sveglio, si chiarisce, come quando scruti dall’alto il panorama, quando vortichi sulle macerie del passato sentendotene affrancato, per la prima volta.
Amore, amore, perché non credi mai ai miracoli?
Ecco, mi sembrò una favola. E, come sempre, hai paura di uscire, dopo la parola fine.


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