È che la sensazione che la società si stia accartocciando su se stessa è sempre più viva. È che non è rimpianto per il passato ma paura per il futuro. È che leggo negli occhi della gente la stessa paura e la paura di perdere ogni istante di possibile godimento per quel che si ha, con la conseguente fretta di fare, di avere, di superare, di rischiare, di osare. È che l’inquietudine non riesce a lasciare spazio al crederci ancora. È che se guardo l’esercito di bravi insegnanti, che quotidianamente ha a che fare con chi il futuro lo dovrà rendere reale, penso che sia finita; ormai questo esercito si trova a dover combattere una guerra quotidiana contro un nemico che non è identificabile nelle persone, ma in una società malata terminale. È che credo che questi insegnanti dovrebbero avere strumenti e compensi degni di una professione così nobile. È che credo che nella Cultura risieda respiro e togliervi l’ossigeno equivarrà alla morte per asfissia. È che la luce, quella vera, quella che acceca, quella che non illumina solo un passo davanti a te ma il cammino fino all’orizzonte, io non riesco a scorgerla quasi più.
(Dal vecchio blog)