Der Nacthmahr
di Achim Bornhak
con Carolyn Genzkow, Kim Gordon, Julika Jenkins
Germania, 2015
genere, drammatico
durata, 88'
La diciasettenne Tina, insieme a due amiche, sono in
auto dirette a una festa in piscina. Lungo la strada scherzano con lei
creando un fotomontaggio tra una sua fotografia e un feto malformato, un
freak, conservato nel laboratorio di scienze della scuola. Alla festa
un ragazzo mostra a Tina un filmato su youtube di un investimento di una
ragazza china in mezzo a una strada. La ragazza è sempre più disgustata
e si immerge in balli forsennati al ritmo di musica techno. Mentre si
apparta per urinare scorge uno strano essere in mezzo al giardino nei
pressi della piscina. Fugge spaventata e convince le sue amiche a
tornare a casa. Vicino all'auto si accorge di aver perso una collanina e
la vede in mezzo alla strada e mentre si china a recuperarla viene
investita da un'auto, replicando la scena del video visto poco prima.
Questo
è l'incipit di "Der Nacthmahr" (L'incubo) scritto, prodotto, montato e
diretto dal giovane regista tedesco Achim Bornhak in arte Akiz e passato
nel concorso Cineasti del presente al 68° Festival di Locarno: un viaggio psichedelico all'interno della mente di un'adolescente.
Psicosi e rappresentazione dell'Es
In
effetti, dopo l'investimento di Tina, lo sgomento degli amici, una
ripresa in soggettiva dal basso verso l'alto, con un stacco ritorniamo a
un primo piano della ragazza seduta nell'auto che si sta toccando la
collana al collo. Sembra tutta un'allucinazione, un flashforward, dovuta
all'abuso di alcool e alla musica assordante della festa. Un primo tema
principale d'interesse all'interno della diegesi, che si sviluppa in
continue diramazioni labirintiche con percorsi tronchi, circolari o à rebours,
è quello della psicosi di Tina che nel procedere della narrazione
inizia a sentire strani rumori provenire dalla cucina. Lei alla fine
vede un essere (lo stesso soggetto del fotomontaggio nell'incipit) che
emette versi gutturali e acquosi, si trascina e si muove lentamente, ha
lunghe mani e occhi enormi anche se le palpebre li coprono quasi
completamente. L'essere in un primo momento è visto solo da Tina e i
genitori iniziano a sospettare di una psicosi, fino farla prima visitare
da uno psichiatra e poi costringerla a un ricovero forzato in clinica.
La creatura è una proiezione materica dell'inconscio di Tina, del suo
malessere esistenziale: la vicinanza al frigo e il continuo nutrirsi del
mostriciattolo è una allegoria della bulimia della ragazza, che vediamo
mangiare poco e vomitare. Del resto la messa in scena della psicosi è
determinata anche dalla scelta degli ambienti chiusi dove Tina è ripresa
sempre sul letto della sua stanza stretta in un angolo e appoggiata al
muro. Camera che è posta in alto, in una mansarda, all'interno della
casa, dove Tina si muove salendo e scendendo da una scala che viene
messa in quadro dando un effetto labirintico (metafora della mente della
ragazza). Infine lo stato psicotico viene elaborato visivamente anche
attraverso l'utilizzo di una focale grandangolare che deforma
l'inquadratura, dell'utilizzo di un digitale che permette la pastosità e
uniformità della luce, giocando su toni come il giallo, il bianco, il
rosso, anche nelle scene notturne. Appare, quindi, una riuscita e
moderna rappresentazione del malessere di Tina che si erge a sineddoche
di una generazione di giovani donne alle prese con la difficoltà della
crescita, il rapporto con i genitori e le loro aspettative che non ti
rappresentano, le insicurezze delle relazioni sentimentali (Tina teme
che il suo fidanzato la tradisca con un'amica).
Eros e thanatos all'anfetamina
Altro
tema forte, che s'intreccia strettamente con il primo, è il rapporto
tra sesso e morte. La "creatura" è percepita da Tina nell'incipit mentre
sta urinando, una metafora del parto, una nascita dalla mente della
ragazza. Ma a un certo punto, la creatura è vista e percepita anche
dagli altri. Il padre tenterà di ucciderla e ferendola, ferisce anche la
figlia con una chiara identificazione e simbiosi tra Tina e la sua
creatura, come parte di essa, come una madre con il proprio figlio. Il
legame tra paura inconscia della propria dimensione sessuale e il senso
della morte è esplicitato in modo chiaro dal montaggio alternato di
varie scene tra Tina e la creatura, nel frattempo catturata dalle
autorità e rinchiusa in un ospedale per essere sottoposta a continui
esami. Quando effettuano qualsiasi manipolazione sull'essere, nello
stesso istante l'effetto è medesimo su Tina: se estraggono del sangue
dal suo braccio, a Tina appare un foro nello stesso punto da cui
fuoriesce il suo sangue. Certo, alla fine la giovane si maschera come
una moderna guerriera, in una tipica iconografia punk, e libera la
creatura portandosela con sé e mostrandola fieramente a tutti i suoi
amici, in un'altra festa a bordo piscina. E l'altra interpretazione è
che Tina sia stata veramente vittima dell'incidente e che sia sdraiata
sul letto dell'ospedale e tutto ciò a cui abbiamo assisitito fino a quel
momento è sogno (elemento corroborato da un time-lapse in soggettiva di
inquadrature precedenti e non). Un altro stacco e Tina e la sua
creatura sono in auto che si allontanano nella notte. Lei ha compiuto i
diciotto anni, è diventata maggiorenne. La psicosi continua, da viva o
da morente.
Tra rinnegamento dei generi e sinestesia indotta
Akiz
ha dichiarato alla fine della visione della prima al Festival di
Locarno che il film si presta a più interpretazione, che lui voleva
raccontare solo una storia di una giovane donna, del malessere della
gioventù berlinese, non volendo fare un horror, affermando come non sia
un film di genere horror.
E' indubbio che
abbiamo un rinnegamento del genere anche nella messa in scena, ma è
altrettanto verosimile che il regista tedesco (tra l'altro anche
scultore: la creatura è una sua opera) sia stato influenzato da una
certa letteratura fantastica come "Le Horla" di Guy de Maupassant e
dall'atmosfera nera dei racconti notturni e fantastici dello scrittore
tedesco E.T.A. Hoffmann. Akiz ha studiato cinema tra Wurtemberg e l'USC
di Los Angeles e il suo ""Der Nacthmahr" è stato influenzato da un certo
cinema Lynchiano (le
inquadrature dell'auto nella notte ricordano "Strade perdute" così come
l'indeterminatezza della storia). Ma oltre a una messa in scena
quantomeno interessante e a una sceneggiatura di fascino, quello che
colpisce maggiormente è la capacità di sintesi tra la colonna sonora e
immagine, tra luci stroboscopiche e musica techno a massimo volume fin
dall'inizio, che fanno precipitare lo spettatore all'interno dell'incubo
narrato da Akiz, inducendo una sinestesia artificiale tra percezione
visiva e uditiva che fanno della visione di "Der Nacthmahr"
un'esperienza psichedelica anche per lo spettatore nella sala: saltando
la quarta parete si è rapiti dalla psicosi del personaggio all'interno
della realtà filmica.
Antonio Pettierre
(pubblicata su ondacinema/speciale 68 festival di Locarno)