89. Un giorno caldo di giugno

Da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 14, 2012

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Ti viene un dubbio: che tutta questa storia sia un modo per fare i conti col passato, che dentro te ci sia qualcosa che non riesci ad accettare e hai bisogno di tradurre in racconto, per vedere le scene da vicino e convincerti una buona volta che ciò che è stato è stato e nessuno ha il potere di cambiarlo. Vorresti che non fosse un giorno caldo di giugno, con nuvole bianche che s’inseguono come pecore sbandate nel pascolo diafano del cielo; sarebbe meglio un pomeriggio di pioggia, di quelli che ti affacci alla finestra e vedi i passanti frettolosi che spariscono subito dietro l’angolo; ecco come dovrebbero essere i pensieri, che invece tornano, tornano, e non ti danno pace. Sei recluso in un albergo assurdo, nella luce blu che sta a metà tra una discoteca e una sala operatoria; ti senti un cadavere inciso dal bisturi dell’autopsia di rito, vittima dei personaggi che hanno affollato il tuo passato. Vorresti condividere il fardello, e forse per questo metti sulle spalle degli attori ignari i tuoi dubbi e i tuoi problemi. Ma potrebbe essere il contrario: giunto alla maturità, hai deciso di guardare fuori, di aprirti finalmente agli altri, che non se lo fanno ripetere due volte e invadono la stanza con le loro pretese, i sogni e le angosce che li divorano quasi senza scampo. Ti chiedi se scrivere non sia altro che uno sfogo, un modo per trasferire altrove le pressioni divenute insopportabili; oppure la chiave per chiarire i nodi che la gente ti mette nelle mani augurandosi che tu, sì, proprio tu, possa scioglierli miracolosamente. Questo spiegherebbe l’ascesi a cui ti sottoponi, la rinuncia ai piaceri più innocenti, al legittimo riposo, neanche fossi un prete di periferia che non sa più a chi i dare i resti. A volte, anzi, il tavolo dove al solito lavori, col pacchetto di Winston e la tazza di caffè, pare un altare in cui si accumulano preghiere provenienti da ogni dove, come se tu, sì, proprio tu, fossi una sorta di demiurgo capace di deviare verso Dio le invocazioni mute di chi sogna un amore, un senso, una liberazione. Ma c’è una terza ipotesi: che dietro te ci sia qualcuno in grado di raggiungere un orizzonte più ampio e più lontano, uno che forse neanche esiste, in cui ci s’imbatte in certi giorni fortunati, quando non sai più che fare e dove andare: le hai provate tutte e non ti resta che fuggire o gettarti da una torre, leggi in anticipo la parola fine, ma inaspettatamente appare un’altra scritta, un nome difficile da decifrare, che ti sembra di aver visto già da qualche altra parte, mentre, da ragazzo, correvi in bicicletta, e ti fermavi per capire chi potesse aver scritto col pennello e il secchio di vernice sul muro diroccato e mezzo mangiato dal tempo, chi potesse aver pensato che la vita si spiegasse solo lì, in una scritta che oggi c’è e domani, magari, è cancellata dalla pioggia in un giorno d’inverno, che sarebbe più adatto per fugare i pensieri del passato, le ombre che stridono inevitabilmente col sole di questo pomeriggio caldo di giugno.


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