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9 festival internazionale del film di roma: lo straordinario viaggio di t.s.spivet
Creato il 17 ottobre 2014 da VeripaccheriT.S.Spivet (Tecumseh Sparrow) ha dieci anni, un certo numero di lentiggini intorno a grandi occhi curiosi, ed e' una sorta di precocissimo genio, intrigato nientemeno che dall'idea di dare concretezza duratura al moto perpetuo. Vive in una piccola fattoria del Montana assieme al padre (cow-boy tutto d'un pezzo - un po' Gary Cooper, un po' Sam Shepard - che si esprime per stereotipi western del tipo: "Quel ruscello e' più asciutto del sarcofago di una mummia"); alla madre (- H. B-Carter - entomologa apprensiva e pasticciona); alla sorella più grande Gracie (certa che uno dei modi più sicuri per evadere dall'isolamento e dalla monotonia della vita campestre sia quello di partecipare alle selezioni per Miss America); al gemello Leyton (oltreché sua stessa copia, replica in sedicesimo del padre che in lui vede la prosecuzione perfetta di se stesso) e al cane di casa, uso a rosicchiare il ferro quando aumentano le tensioni interne al microcosmo familiare. Ben deciso a "rimaner sempre fedele alla scienza", T.S. percorre in solitaria le tappe di un viaggio fisico e simbolico attraverso il continente americano e il tumulto interiore dei suoi pochi anni, che lo condurrà alla riscoperta delle gioie delle sfide intellettuali, come alla grama consapevolezza che nulla e' sul serio ciò che appare e che - spesso e volentieri - vanità, menzogna, senso di colpa e doppiezza, hanno quasi uno stesso spiacevole sapore. Il Cinema stilizzato e coloratissimo di Jeunet affronta, stavolta da un punto di vista più classico (l'altro era stato l'azzardo produttivo eccentrico di "Alien 4/La clonazione"), a dire quello del romanzo di formazione, l'universo-America, declinando il suo vocabolario di variazioni sincretiche quanto fondamentalmente derivative in un insieme che riesce ad accostare, senza fastidiose frizioni, panoramiche da prototipo dei film-di-frontiera al gusto più moderno per il dialogo arguto e brillante, sempre in bilico tra disinvolta saccenza e malcelato cinismo: giù giù fino a dettagli in apparenza incongrui ma deliziosamente funzionali all'esaltazione di uno slancio avventuroso, di una sorta d'imprevista magia che occhieggia tra minute imprecisioni e calibratissimi anacronismi. Entro lo spazio di una partitura fitta di suggestioni che non si fa mancare nemmeno il fraseggio a base di steel guitar, armonica e violino, ecco palesarsi, allora, come espressione di una capacita' inventiva vitale e coerente, secchi della spazzatura in alluminio di ultima generazione e salotti foderati di un unica membrana fatta di mobilio e suppellettili dall'identico color cuoio; ecco scarponcini tecnici in gore-tex e frullatori e tostapane dall'inconfondibile design anni '50 et., nell'estremizzazione paradossale e intrigante di riferimenti culturali e metaforici che sul piano strettamente figurativo richiamano modelli cinematografici (Ford, Hawks, Capra, per dirne alcuni) e pittorici (Hopper, Wyeth, Rockwell) passati al tritatutto di un'estetica edificante e laccata. Nonostante una voce narrante sempre sul punto d'impossessarsi in via definitiva degli snodi cruciali della vicenda, la figura del piccolo T.S. - al pari degli altri co-protagonisti, ognuno con un suo cruccio nascosto, un personale non-detto - si colora sovente di toni malinconici e d'improvvise apprensioni che sembrano preludere ad un sostanziale destino di solitudine (abbastanza consueto tra i grandi ingegni) e allo stesso tempo concorrono a irrobustire gli argini sguarniti di un mondo in cui - tutto sommato - i contrasti si appianano e i rimorsi e le sofferenze trovano consolazione, riportando la fiaba di una fanciullezza speciale ma travagliata sul sentiero comune della ricerca di quell'incanto che fa percorrere alle gocce d'acqua sempre "la traiettoria di minima resistenza". TFK (voto: ***1/2)
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