Nel primo dopoguerra, da cui prende avvio la mostra per inoltrarsi fino all’epilogo tragico del secondo conflitto mondiale e del fatidico 1943, la cultura italiana, attraverso i suoi migliori esponenti, si sentì investita della missione dicreare nuove espressioni artistiche per il Novecento, secolo che non si era in realtà ancora rivelato. Il più lucido interprete di questa missione fu il letterato Massimo Bontempelli, che nel 1926 dando vita alla rivista “900” dichiarava: “Il Novecento ci ha messo molto a spuntare. L’Ottocento non poté finire che nel 1914. Il Novecento non comincia che un poco dopo la guerra”.
Il modello di una ritrovata armonia tra tradizione e modernità,sostenuto da questi artisti – tra cui ebbero un rilievo maggiore Felice Casorati, Achille Funi, Mario Sironi, CarloCarrà, Adolfo Wildt e Arturo Martini – avrà, anche grazie allo spirito critico e organizzativo di Margherita Sarfatti, il sostegno da parte del regime che era alla ricerca della definizione di un’arte di Stato.
La mostra rievoca le principali occasioni in cui gli artisti si prestarono a celebrare l’ideologia e i miti proposti dal Fascismo, basti pensare all’architettura pubblica, alla pittura murale e alla scultura monumentale. Verranno documentate la I (1926) e la II (1929) Mostra del NovecentoItaliano; la grande Mostra della Rivoluzione Fascista, allestita a Roma nel 1932-1933 in occasione del decennale della marcia su Roma; la V Triennale di Milano (che vide la consacrazione della pittura murale intesa come arte nazionalpopolare volta a far rivivere una tradizione illustre); la rassegna dell’ E42 di Roma. La pittura murale e la scultura monumentale, che furono con l’architettura l’espressione più significativa e riuscita di quel periodo, vengono indagate all’interno degli edifici pubblici, come i palazzi di giustizia, delle poste, delle università. La considerazione delle più impegnative realizzazioni urbanistiche e architettoniche ci consente di capire quanto è stato realizzato anche a Forlì e in altri centri della Romagna.
La mostra presenta i grandi temi affrontati nel Ventennio dagli artisti che hanno aderito alle direttive del regime, partecipando ai concorsi e aggiudicandosi le commissioni pubbliche, e da coloro che hanno attraversato quel clima alla ricerca di un nuovo rapporto tra le esigenze della contemporaneità e la tradizione, tra l’arte e il pubblico. La presenza di dipinti, sculture, cartoni per affreschi, opere di grafica, cartelloni murali, mobili, oggetti d’arredo, gioielli, abiti, intende offrire una visione a tutto tondo del rapporto tra le arti e le espressioni del costume e della vita, confrontando artisti e materiali diversi. L’obiettivo comune era, infatti,quello di ridefinire ogni aspetto della realtà e della vita, passando dal mito classico a una mitologia tutta contemporanea. Il compito dell’artista, così lo sintetizza Bontempelli, diviene quello di “inventare miti, favole, storie, che poi si allontanino da lui fino a perdere ogni legame con la sua persona, e in tal modo diventino patrimonio comune degli uomini e quasi cose della natura”.
Attraverso i maggiori protagonisti (pittori come Severini, Casorati, Carrà,De Chirico, Balla, Depero, Oppi, Cagnaccio di San Pietro, Donghi, Dudreville, Dottori, Funi, Sironi, Campigli,Conti, Guidi, Ferrazzi, Prampolini, Sbisà, Soffici, Maccari, Rosai, Guttuso, e scultoricome Martini, Andreotti, Biancini, Baroni, Thayaht, Messina, Manzù, Rambelli) risalterà la varietà delle esperienze tra Metafisica, Realismo Magico e le grandi mitologie del Novecento.
Questo superamento della pittura da cavalletto per recuperare il rapporto tra la pittura e l’architettura significò il grande ritorno al Quattrocento italiano visto come fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei. Giotto, Masaccio, Mantegna, Piero della Francesca per quel loro realismo preciso, avvolto in una atmosfera di stupore lucido, appaiono particolarmente vicini. Guardare al Quattrocento o all’antichità non significava recidere i legami con l’arte contemporanea europea, certo non con quegli artisti che, come Picasso e Derain, a partire dal secondo decennio del Novecento avevano già fatto lo stesso percorso, passando dalla scomposizione e dall’astrazione cubista alla ricomposizione della figura e a una nuova classicità in cui venivano presi a modello l’antico e la tradizione italiana.
Non solo i dipinti, le sculture o l’architettura, ma anche le opere di grafica e i manifesti diventarono parte integrante dell’immagine della città moderna. Il Novecento passò dall’arte alta agli oggetti della vita quotidiana, dove si respirava la stessa atmosfera di ritorno alla misura classica, anche nella manipolazione di materiali preziosi. Lo testimoniano gli splendidi mobili e gli altri oggetti di arredo disegnati da Piacentini, Cambellotti, Pagano, Montalcini, Muzio, Gio Ponti e i gioielli realizzati da Alfredo Ravasco. Mai come nel Novecento anche le vicende della moda si intrecciarono e si identificarono con quelle della cultura e della politica, originando, tra il sogno parigino e l’autarchia, la prospettiva della grande moda italiana.
Forlì, Musei San Domenico Piazza Guido da Montefeltro fino al 16 giugno 2013
da martedì a venerdì: 9.30-19.00;
sabato, domenica, giorni festivi: 9.30-20.00;