Sono passati trentanni dal massacro di Lucanamarca, la prima strage di contadini compiuta da Sendero Luminoso sulle Ande peruviane. Un massacro che, in quell’aprile 1983, cambia radicalmente il conflitto quando, per la prima volta, il gruppo armato di Abimael Guzmán, attacca e uccide proprio quei contadini che si era promesso di liberare dall’oppressione secolare. Il nemico da colpire non è più solo lo Stato borghese, ma chi, indiscriminatamente, critica l’operare di Sendero Luminoso ed il fanatismo di Guzmán, il presidente Gonzalo. Lucanamarca è, insomma, l’inizio della barbarie sulle Ande. Per ricordare questo anniversario, pubblico il capitolo sull’eccidio di Lucanamarca pubblicato sul mio e-book ¨La lucida follia di Sendero Luminoso, rivoluzione e terrore sulle Ande peruviane¨ edito da L’Indro e scaricabile a questo link: http://shop.lindro.it/index.php/e-book/saggistica-3/la-lucida-follia-di-sendero-luminoso.html
Il rapporto tra i membri di Sendero Luminoso e le popolazioni andine sarà fondamentale per definire il corso del conflitto. I senderisti hanno bisogno dell’appoggio popolare per giustificare la loro lotta, ma allo stesso tempo devono rispondere alle disposizioni ideologiche e programmatiche del presidente Gonzalo, non sempre aderenti alla realtà. Guzmán insiste che per essere liberata la massa dei contadini deve essere guidata, ma le comunità si ribellano al nuovo ordine che ora sentono prevaricatore e violento. Nel corso dei primi due anni del conflitto, lo sforzo dei senderisti era stato quello di ingraziarsi la popolazione indigena, necessaria per garantire la logistica e il sostegno per combattere il nemico, lo Stato. Nelle zone ‘liberate’ vige la legge di Sendero, una legge spesso spietata, che va al di là della comprensione di comunità abituate ad organizzarsi per proprio conto, spesso individualiste e fermamente legate alle tradizioni. Paradossalmente lo Stato, con la sua assenza, ha lasciato sì le comunità andine in condizioni di arretratezza, ma anche nella possibilità che le stesse disponessero di una certa autonomia. Nel momento in cui i senderisti impongono i loro ranghi all’interno delle assemblee comunitarie e non in condizioni di uguaglianza, ma di preponderanza e di supremazia, l’unità di intenti finora vissuta viene a mancare tragicamente. Sendero, la cui dialettica è quella del terrore, risponde nell’unica maniera che sa fare, punendo. Per i contadini, quello di Sendero si rivela un nuovo e ancora più brutale giogo. L’avvenimento che marca la fine dell’ideale alleanza contadini-senderisti è il massacro di Lucanamarca, avvenuto il 3 aprile 1983. Situata nella provincia di Huancasancos, nella regione di Ayacucho, la comunità contava al tempo poco più di duemila abitanti. Da qualche mese i senderisti avevano fatto il loro ingresso nella vita comunitaria, contando sul fatto di aver ricevuto un discreto appoggio dalla popolazione locale. Dopo essersi presentati in forze, seguendo l’abituale strategia, lasciano in paese tre membri, che hanno il compito di rappresentare la legalità di Sendero e di intervenire direttamente nelle istanze cittadine. La convivenza si fa però presto impossibile. Accusato di aver compiuto vari abusi, uno dei tre senderisti, Olegario Curitomay, il 22 marzo viene fatto prigioniero da una folla inferocita che lo tortura e quindi gli appicca fuoco nella piazza del paese. La morte di Curitomay viene presa dal comando militare di Sendero come una dichiarazione di guerra; Sendero che non può tollerare atti di insubordinazione di questo genere. L’ordine, che poi si scoprirà venire direttamente dal presidente Gonzalo, è quello di dare una lezione esemplare ai contadini che hanno osato sfidare il potere dei tribuni rivoluzionari. I senderisti entrano a Lucanamarca la mattina di domenica 3 aprile. Non è un caso che scelgano la domenica e che scendano in paese presto, quando gli abitanti ancora dormono. Sendero conosce perfettamente le abitudini dei contadini che, dopo aver lavorato duramente durante la settimana, approfittano il fine settimana per festeggiare e, spesso, per spendersi i pochi soldi guadagnati in acquavite. La Comisión de la Verdad y de la Reconciliación ha ricostruito i dettagli dell’attacco grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, che hanno raccontato come, al comando della colonna di circa sessanta senderisti, ci fosse Hildebrando Pérez, “vestito da militare, con due pistole alla cintola, un meticcio dallo sguardo vivo e dai capelli lisci, di circa un metro e settanta, naso aquilino… un professore”. Colpisce che, ancora una volta, alla guida di una strage ci sia un maestro, una persona che avrebbe dovuto educare e non ammazzare. Pérez, prima di arruolarsi tra le fila di Sendero, aveva scritto un libro di racconti, ‘Los ilegítimos’. Gli è stata affidata la colonna che scorazza per Huancasancos dopo essere stato liberato dal carcere di Ayacucho, nell’azione senderista del 2 marzo dell’anno prima. Nell’opinione di molti simpatizzanti Pérez era sempre stato un moderato, finito nelle fila di Sendero proprio in seguito alla dura esperienza del carcere a Huamanga, un uomo fondamentalmente mite, amante della letteratura e che per queste ragioni non avrebbe potuto guidare un’azione del genere. La colonna già dal mattino ha fatto i primi ventinove morti. Sono gli abitanti della frazione di Yanaccollpa che, sorpresi all’inizio delle loro attività domenicali, vengono rinchiusi in un cassone e massacrati di botte e a colpi di machete. Alla fine, quando ancora qualcuno si lamenta, il comandante ordina che tutti i corpi vengano cosparsi di acqua bollente. Nessuno si salva. Nella marcia di avvicinamento a Lucanamarca i senderisti uccidono tutti coloro che gli si presentano alla vista, seguendo il raccapricciante rituale del linciaggio. In paese, intanto si è sparsa la notizia ed i comuneros cercano di organizzare una difesa. I senderisti entrano a Lucanamarca alle quattro del pomeriggio, accolti da un lancio di proiettili di fionde, l’unica arma di cui dispongono gli abitanti del luogo. La milizia di Sendero risponde con i fucili e vince presto la resistenza. A questo punto si scatena la repressione casa per casa. Chi non è riuscito a fuggire viene portato in piazza, dove sono stati organizzati tre gruppi: uno di donne, uno di bambini e l’ultimo di uomini. È proprio contro questo gruppo che i senderisti scatenano la loro furia, usando ogni arma a loro disposizione, dai fucili ai coltelli, dai machete alle pietre. La carneficina cessa quando un bambino, spinto dalla disperazione, grida dall’alto della chiesa che è in arrivo l’Esercito. I senderisti scappano, lasciando diciannove morti e decine di feriti sul selciato della piazza. In totale, quel giorno, muoiono sessantanove persone. Tra loro ci sono donne, anziani e bambini (diciotto). Le prove effettuate quasi venti anni dopo sui resti esumati delle vittime, dimostrano come la maggioranza venne uccisa con colpi inferti da asce, coltelli e bastoni; solo sei morirono a causa di colpi di arma da fuoco, a testimonianza di una violenza indiscriminata e cieca. La reazione dei sinchis della Polizia è immediata e nel giro di pochi giorni vengono fatti prigionieri due dei responsabili dei fatti di Lucanamarca. Sono due ragazzi nati e cresciuti in paese, che tutti conoscono. La furia omicida con la quale hanno affrontato i loro compaesani rivela un mondo di abusi e vendette private che vengono consumate al riparo delle insegne di una rivoluzione che si scopre sempre meno idealista e sempre più malvagiamente pragmatica, nonché pervasa da rancori secolari. L’Esercito rinchiude i due giovani nella Base militare di Totos e di loro non se ne sentirà più parlare. Il loro destino è quello di far parte del folto gruppo di desaparecidos della guerra sporca. Il maestro Pérez muore invece qualche anno più tardi, secondo un testimone, in un’imboscata, dopo aver visto morire il proprio figlio, anche lui arruolato nella fila di Sendero. In un’intervista al quotidiano capitalino ‘Diario’, Abimael Guzmán assunse personalmente, nel 1988, la responsabilità del massacro, che definì necessario per reprimere ogni tentativo di reazione da parte delle popolazioni autoctone. Anni più tardi, di fronte alla Comisión de la Verdad y de la Reconciliación, il presidente Gonzalo reitererà la legittimità di quella decisione, presa per dare una lezione ad una comunità che si era schierata apertamente contro Sendero Luminoso: “Sono il primo responsabile di quei fatti. Non evaderò mai la mia responsabilità, non avrebbe senso” dichiara. Osmán Morote, tra i collaboratori più vicini a Guzmán, ha una percezione differente del massacro: “a Lucanamarca gli eccessi si diedero tra popolazioni che si odiavano da tempo. Era il popolo contro il popolo nel mezzo della nostra guerra”. Sono parole pesanti come un macigno, ma che fotografano perfettamente la situazione di quei giorni, dove i militanti che formavano le colonne di Sendero approfittavano della loro condizione di potere per compiere indisturbati vendette personali o per regolare faide famigliari vecchie di anni. La strage di Lucanamarca sarà la prima di una lunga serie. Sendero continuerà nella strategia di castigare le popolazioni che si rifiutano di collaborare. Un mese dopo quel fatto, una colonna di senderisti irrompe a Cancha Cancha, da dove i militanti erano stati cacciati nel febbraio dell’anno prima. Anche in questo caso lo scopo è quello di dare una lezione agli abitanti. I senderisti bruciano il villaggio e fanno tre morti e vari feriti. Ai contadini, nella sierra in fiamme, non rimane altra scelta: o scappare, abbandonando tutto, o prendere una posizione che, con la piega che hanno preso gli avvenimenti, potrebbe significare la morte.