Alex Ross Perry strabilia Locarno 2014 e sei mesi dopo ė a Berlino, nella sezione Forum, con un nuovo lavoro. “Queen of Earth” sorprende e rapisce lo spettatore. Presentando tutti i tratti tipici del regista – la parola regna sovrana, gli attori sono pochi, gli scambi sono sagaci – l’opera è diversa da ciò che ci aspettavamo, ma funziona: rispetta lo spettatore e gli lascia credere ciò che preferisce. Coi suoi attori e la loro trasformazione, con protagonisti in cui ci immedesimiamo, questa storia tutto mostra e dice evitando accuratamente il fastidioso c.d. spiegone.
Elisabeth Moss in Alex Ross Perry’s Queen of Earth – Photo by Sean Price WIlliams
Protagonista è Catherine (Elisabeth Moss), una giovane cresciuta all’ombra del padre artista, famoso, eccentrico, totalizzante, annientante. Prevedibilmente, l’uomo la prende sotto la propria ala protettiva, la tiene al suo fianco come assistente personale, sino al giorno in cui la depressione se lo porta via. E la malattia, gli scherzi della mente, le reazioni al dolore, la gelosia, sono il vero fulcro di questa pellicola: la suspense e i dubbi crescono piano piano sino ad un finale inevitabile.
Tutto regge grazie ai tre attori principali.Elisabeth Moss ha una mimica e un’espressività da applauso. Il regista si dimostra coraggioso, non ha paura ad affrontare un nuovo genere quale quello drammatico, con un tocco di suspense retrò, e un po’ di thrilling molto psicologico. Perché i presupposti della trama sono comuni e probabilmente li abbiamo tutti vissuti o, perlomeno, visti. La giovane ha appena rotto col fidanzato, decide di rifugiarsi qualche giorno dall’amica del cuore che vive nei boschi, in riva al lago, in un luogo ideale in cui riprendersi dallo shock, soprattutto dato che solo l’ultimo di una lunga serie.
La solitudine, la tristezza e il confronto con l’altra donna, provocheranno inquietanti risvolti, in cui anche noi non sapremo decidere cosa sperare, per chi tifare, quale interpretazione dell’epilogo preferire. Ad essere onesti, provo un amore incondizionato per “The color Wheel” e ancora oggi lo trovo dotato di uno dei più intriganti e ambiziosi script, ma il regista ha dimostrato di poter ambire a giocare nella Major League del cinema, ha testato la propria versatilità e la risposta di un pubblico, oggi, meno Mediterraneo del precedente. Chissà cosa ci regalerà in futuro.
Vissia Menza