Mantenendo invariato l’impianto narrativo e sostituendo l’entroterra di Saint Tropez con quello di Pantelleria Guadagnino tradisce il modello francese, rendendo meno nette le differenze tra i caratteri come pure i motivi che volgeranno la storia in tragedia, anche qui come nel film di Deray, legati alla fascinazione dei presenti nei confronti di Penn, la cui bellezza acerba e conturbante finisce per rompere gli equilibri del gruppo di persone che con lei condivide le giornate nella villa siciliana. In questo modo ad essere diverso non è tanto l’intreccio della storia, che seppur con itinerari diversi finisce per arrivare alle stesse conclusioni dell'omologo francese, quanto piuttosto il tono drammaturgia che alla decadente inquietudine dei personaggi affianca una jeu de vivre che traspare non solo dal vitalismo di alcune sequenze, prima fra tutte quella in cui vediamo il personaggio di Ralph Fiennes scatenarsi sulle note dei mitici Rolling Stones ma anche dalla presenza pulsante del paesaggio naturale, fotografato in maniera tale da farne sembrare i personaggi letteralmente fagocitati. Il risultato è un panteismo endemico che si alimenta delle contraddizioni stesse dei protagonisti, a prima vista lontani dalle ipocrisie tipiche della società borghese e invece, come dimostrano le reazioni di fronte ai comportamenti di Peen - lei si avulsa da ogni tipo di morale - intimamente legati a quel tipo di consuetudini.
Da questo punto di vista “A Bigger Splash” costituisce la versione cosmopolita di “Io sono l’amore”, a cui lo lega lo scenario in cui si svolge la vicenda, anche qui costituito da una casa/dimora chiamata a simboleggiare l’universo culturale e sociale dei personaggi e poi la tipologia dei contenuti, ancora una volta legati alle dinamiche di una collettività le cui regole vengono messe in discussione dall'inserimento di un elemento estraneo. Si potrebbe pensare al cinema di Visconti di cui “Io sono l’amore” era debitore. In questo caso invece riconoscendo a Guadagnino il proprio marchio di fabbrica, ci sentiamo di avvicinare il film di Guadagnino al Bertolucci di “Io ballo da sola” senza dimenticare di riconoscere al regista palermitano il copyright di una Tilda Swinton che solo lui riesce a rendere così morbida e sensuale.