La Sicilia è sempre stata una terra che ha prodotto realtà parecchio singolari, in campo musicale ma anche cinematografico e letterario. Solo per fare degli esempi, i primi a me più cari sono Uzeda, Ciprì & Maresco ed Elio Vittorini. Rimanendo nel nostro ambito, in particolare in quello più carbonaro/diy, penso a un periodo piuttosto fecondo per la regione (siamo in pieni anni Novanta), quello dove operano l’etichetta Free Land di Maurizio Scudieri (tra le pubblicazioni ricordiamo i Colossamite, gli Angeli, i White Tornado di Ninni Morgia e Gorge Trio), la Indigena (booking e negozio proprio del gruppo di Giovanna Cacciola), senza dimenticare un evento importante per la regione come il concerto dei Fugazi sul lungomare della città etnea, tenutosi nel giugno del 1995 (non c’ero di persona, ma ne sentii parlare molto sulle frequenze di Planet Rock su Radio Rai). Perché dico tutto questo? Semplice: perché se vi accostate al lavoro di questo gruppo della provincia trapanese (Alcamo, per l’esattezza), vi verranno in mente anche quei suoni, oltre a tutta una serie di uscite che hanno imperversato in quel periodo.
Non è un caso se gli Oper’Azione Nafta riescono a pubblicare (correva l’anno 2008) il loro Càvuru in formato vinile per la americana Siltbreeze, che nel suo roster ha accolto gente poco raccomandabile come Dead C, Harry Pussy, Dan Melchior e Sic Alps (chiaro il concetto, no?). “All’8 E ¼ Alu Trianon” è puro devasto dai toni sardonici, per esempio, e, se non vi basta, un certo David Keenan, quando uscì il disco in questione, vergò sul sito Volcanic Tongue queste appassionate parole: Italian free music trio that combines overblown reed firepower with punk primitive energy assassination, hysterical vocals, manipulated tapes and some beautifully sleazy No Wave raunch appeal. Pretty much explodes the territory that would divide Harry Pussy and James Chance & The Contortions.
Allo stesso tempo la cosa interessante è che quel suono è, se possibile, nel caso loro ancora più “violentato” e distorto di quanto Keenan asserisca – come se fosse espressione di eccentrici jazzisti in rotta di collisione con abili manipolatori noise – e solo all’apparenza sfilacciato e senza soluzione di continuità (siete legittimati a pensare anche ai Godzik Pink), perso com’è nel rincorrersi sfrenato di sax, chitarra e batteria. Prendete un pezzo come “La Passione Di Op.Na.” (l’apertura di Rùgna, uno degli ultimi lavori della band) e ditemi se non ci sentite la disperazione dell’essere umano di fronte alle intemperie della vita (c’è un dialogo che sembra proprio una parodia religiosa…). Oppure ascoltate “Che Minchia Lumè Cani”, free-jazz come potrebbe suonarlo John Zorn alle prese con l’anfetamina.
I musicisti (*) non sembrano avere nessuna intenzione di relegare la loro creatura in quel recinto rumoroso nel quale si potrebbe facilmente inserirla (se ascoltate gli esperimenti improv della lunga “Il Sinai Nel Sacco” capirete perché), d’altronde somigliano tanto a un irascibile Don Chisciotte che lotta imperterrito contro i mulini a vento, non si curano troppo di ciò che sta loro attorno e risultano pure un pelo naïf, altra caratteristica che si evince dal ripetuto ascolto dei pezzi, che non mancano di una farcitura di feroce ironia (i titoli dei pezzi poi sono tutto un programma). Se vi imbattete in “Carcarazza” (sempre da Rùgna) finirete per diventare come uno di quei “mostri” giapponesi che tentano di salvare il mondo (per chi se lo ricorda cose come Megaloman, insomma…), tra fughe a capitombolo tra le scorie del suono (che se ci fate caso somiglia spesso ad un’improvvisa combustione) e il viso che diventa una maschera di sangue, come sette minuti di deliranti passeggiate nei rottami della vostra periferia. Cos’altro aggiungere, se non che i musicisti in fondo non fanno parte di nessun giro di band in particolare, mi riferisco al fatto che pubblicano poche cose scelte, si vedono pochissimo in giro per concerti (almeno in questo ultimo periodo) e non sembrano minimamente interessati a modificare una proposta che sa di non compromissorio e di volutamente poco “gradevole”. A tal proposito, anche uno come Keith Fullerton Whitman aka Hrvatski, altro campione di rumorismi assortiti, per tramite del suo mailorder Mimaroglu Music Sales, parlando di Càvuru, non senza una buona dose di fantasia li descrive così: … entirely confounding / blood-thickening set from this italian trio, undoubtedly cued-on by a lethal cocktail of esp-disk’ gunk, ejwussl wessahqqan, & weapons-gradehallucinogenic alkaloids… Come non essere d’accordo pure con lui, mi viene da aggiungere. D’altronde di cose “indie carine” ce ne sono già troppe in giro, ed è giusto donare agli Oper’Azione Nafta un po’ di spazio. Non mi resta quindi che consigliarvi di cercare i dischi e di tuffarvi nel loro Bandcamp, una cornucopia di pezzi da ascoltare avidamente e senza stare a pensarci troppo su. Siamo certi che anche uno come Luigi Russolo approverebbe.
(*) Il nucleo storico è composto da Francesco Calandrino (da tempo dietro i Rusted Rainbow con Aaron Hemphill dei Liars, gli UNTT 350 con Kevin Shea dei Talibam!, e collaborazioni con sperimentatori come Jean-Marc Montera ed Eugenio Sanna) e Pietro La Rocca (La Dolce Visa, in un duo dedito all’assemblaggio sonoro con Mark Cunningham dei Mars, e mente dello Scrusci Festival e dell’associazione culturale Mimema). All’occorrenza si aggiunge Marco Calandrino.
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