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A bocca chiusa

Creato il 03 aprile 2014 da Cultura Salentina

A bocca chiusa

3 aprile 2014 di Titti De Simeis

di Titti De Simeis

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Da quel giorno decisi di scrivere. Decisi che avrei scritto ogni cosa mi fosse stata contestata e proibita, ogni cosa mi venisse frenata o impedita. Da quel giorno in cui aprii il giornale e nello spazio della pagina di sempre, vidi mancare la mia firma, il mio pezzo. Uno spazio vuoto, non fosse stato per il trafiletto pubblicitario, uno spazio in cui mancava la mia voce, in cui mi sentii perdere d’identità, come smarrita di me.

Il mio pensiero non era in linea con quello del caporedattore, era fuori dalle righe, da quelle previste o calcolate da colui che avrebbe dovuto, invece, aprire le porte ad ogni pezzo gli venisse recapitato. La rivista che aveva fondato era un piccolo giornale di provincia, in cui si raccoglievano le firme di pochi amici, gente che si cimentava e si dilettava a scrivere di argomenti più diversi. Gli erano intorno nell’entusiasmo di condividere la passione per la scrittura, per il fatto del giorno, per il racconto o la pagina dello sport. Per creare qualcosa insieme e mantenerlo fresco, vivo e renderlo quanto più possibile interessante.

Ero stata avvicinata a quel gruppo perché mi era stato chiesto di scrivere per loro su una pagina che avrei potuto curare a mia discrezione.

E così fu per un po’ di tempo.

Ho sempre amato scrivere e trasmettere, parola dopo parola, il senso di ogni emozione che si fa pensiero e che cerca un luogo per essere scritto.

Ho avuto modo, spesso, di capire il senso di ciò che faccio nel momento in cui mi è mancato, tutte le volte che mi è stato impedito il tempo di dedicarmici e di farlo rispondendo, pienamente, a quell’istinto inspiegabile che ti fa prendere un foglio e consumarne ogni centimetro.

Finché quei pensieri non finiscono col diventare di chi li leggerà. Ed è lì che si compie l’attesa, l’inquietudine di una preparazione fatta di passione senza ragione alcuna, solo una corsa tra emozioni e pensieri che si susseguono a perdifiato, fino a trovare l’ultimo rigo e acquietarsi. Chi avrà tra le mani quelle pagine starà condividendo con te ogni sua sensazione e tu ne sarai il portavoce, il coraggioso paladino della sua stessa anima. Spietato e affascinato, confuso ed entusiasta, critico e innamorato. Di ciò che di sé vivrà tra le tue parole, tra le virgole che saprà scansare e andare alla parola dopo e a quella dopo ancora, fino al punto finale.

Ecco perché quella volta mi sentii offesa. Qualcuno aveva deciso, insindacabilmente e senza nemmeno rendermi partecipe della sua decisione, di oscurarmi. Il motivo mi fu riferito dopo. Ma non importa. Ciò che scottava era il libero arbitrio, la presunzione e la mancanza di educazione. Che giornale sarà mai quello che censura di propria ed esclusiva iniziativa, solo per una divergenza personale? Mai, in tempi di democrazia e libertà di stampa, ciò può ritenersi accettabile.  Ci si può dissociare da ciò che si pubblica, per correttezza e neutralità, ci si può astenere da commenti personali se non si vuole essere coinvolti, restando professionalmente al proprio posto.

Essere una redazione vuol dire fare squadra, unirsi agli autori per crescere, anche professionalmente, insieme. Condividere, imparare gli uni dagli altri, mirare al bene del giornale mettendo da parte i nostri protagonismi e le nostre ambizioni. E, se una redazione funziona si vede proprio dalla assoluta mancanza di vincoli e freni culturali, di preconcetti o preferenze. La voce di qualsiasi scrittore deve essere lasciata alla sua frequenza, assegnandole, semmai, lo spazio di un dibattito, di incontri o scontri d’opinione, una dimensione di confronto nel rispetto, sempre e comunque, delle diversità espressive e di pensiero. Chi scrive lo fa perché ha qualcosa da dire. Non farlo leggere vuol dire ammanettargli la bocca, come si faceva una volta, come si fa quando si ha paura delle menti attive, della cultura che sommuove gli animi e fa strabordare le pazienze. Semplicemente quando si decide che, a nostro parere, potremmo trovarci immersi in un’acqua troppo fredda o troppo ‘coraggiosa’ per saperci nuotare.

Ma, la cultura, è la forza irrefrenabile di non aver paura.

Ecco, in quell’occasione ho provato la paura dell’essere azzittita, della presunzione di una voce forte ma senza eco alcuna e che usava ‘potere’ sulla mia.

Così, da quel momento in poi ho usato il grassetto nei pensieri, il maiuscolo nella volontà di osare e il foglio bianco è diventato il mio, unico, spazio intoccabile.

Come intoccabile resterà sempre, per me, la libertà in chi leggo e, nella scrittura degli altri, non dimenticherò mai, per quanto divergente dalla mia, di cercare il bello che mi guidi a somigliargli.


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