Cara signora con la camicetta figlia dei fiori svolazzante tra le ascelle sudate;
cara signora che, camicetta e telefonino, si è introdotta nel corridoio dove pazienti attendevamo di compilare il nostro Settecentotrenta come da appuntamento faticosamente conquistato un mese fa presentandoci personalmente al Caaf e ritirando opportuna ricevuta di prenotazione;
cara signora, io ero quella seduta in corridoio a leggere “Commissario domani ucciderò Labruna”.
Di fianco a me c’era la mi’ figliola, che, essendo da poco impiegata part-time in una città vicina, ha dovuto strisciare sulle ginocchia e chiedere un permesso per compilare (pure lei) il suo Settecentotrenta, e ha preso regolare appuntamento presentandosi personalmente eccetera.
Dentro, in ufficio, c’erano due impiegate che cercavano di lavorare mentre lei faceva capolino perché doveva soltanto spiegare che aveva un appuntamento, e che se lei non risultava la colpa era delle impiegate e che lei era sicurissima perché aveva telefonato per l’appuntamento (ah!, non si era presentata personalmente ritirando opportuna ricevuta di prenotazione?), e che si ricordava a memoria il numero cui aveva telefonato, nel capoluogo di provincia, e che dal capoluogo le avevano dato appuntamento lì, in quel corridoio, a quell’ora e lei doveva far vedere il suo, di Settecentotrenta, debitamente compilato ma da controllare.
Fuori, in corridoio, abbiamo visto una delle impiegate abbandonare la povera signora seduta lì davanti e venire a spiegarLe, sulla porta, che nel foglio Lei non risultava, che loro avevano un appuntamento via l’altro, che le dispiaceva tanto, che andasse a sentire nel capoluogo che confusione avevano fatto, visto che comunque, Lei, signora Camicetta, lì nell’elenco non c’era.
Quando Lei se ne è uscita e si è avviata giù per le scale, signora, con la sua camicetta e le ascelle sudate, abbiamo tirato tutti un respiro di sollievo. Giuro.
La mi’ figliola ha pensato che, nonostante il ritardo accumulato e i dieci minuti passati a vedere montare in Lei il nervoso perché aveva prenotato (mi ricordo benissimo, so anche il numero a memoria!), forse sarebbe riuscita a espletare quanto di dovere senza arrivare tardi al suo nuovo impiego.
La signora seduta ha pensato che forse riusciva a farsi fare il benedetto Settecentotrenta senza sentire una che urlava del suo appuntamento perso.
Le due impiegate hanno ricominciato a pensare che avrebbero potuto mettersi a lavorare.
L’impiegato dell’ufficio prenotazioni ha smesso di torcersi le mani perché, a quanto pare, aveva perso il suo (di Lei, signora Camicetta) prezioso appuntamento.
Io ho pensato che forse potevo scoprire se avrebbero ammazzato Labruna o no.
Ma lei è tornata.
Sventolando le ascelle e il suo telefonino sopra la testa:
“Ecco, ecco, sapevo il numero a memoria!, ecco, ecco, mi hanno prenotato, lo dicono qui, nel capoluogo!, fermi tutti, toc toc, scusi, smetta con quella, mi ascolti, ecco, avevo prenotato!, senta senta qui, che io avevo prenotato e voi vi siete persi la mia prenotazione!”
Ci sono voluti altri quattro minuti prima che l’impiegata chiedesse di parlare lei al telefonino con quelli del capoluogo, per controllare il disguido (sa, l’informatica; sa, qui noi in campagna; sa, a volte succede che…).
E ci sono voluti altri tre minuti perché lei uscisse dall’ufficio (dove era sempre in attesa la signora di prima) e se ne volasse giù per le scale tutta sorridente.
Signora Camicetta, che cosa aveva da ridere?
Era contenta di aver scoperto che in realtà aveva prenotato a un altro sindacato?