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A che serve l’art. 18

Creato il 23 dicembre 2011 da Malvino
L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori tutela solo i dipendenti di aziende che abbiano “più di quindici prestatori di lavoro”. In Italia sono meno del 20% del totale. Perché il restante 80% non meriti analoga tutela – sacra, a quanto si dice – bisognerebbe chiederlo a chi ha scritto quel testo, ma questo non ci è possibile: lo Statuto dei Lavoratori è vecchio più di quarant’anni e i suoi autori sono tutti passati a miglior vita. Possiamo solo fare delle ipotesi, che però parrebbero confortate da elementi di qualche peso (Gino Giugni, Lo Statuto dei Lavoratori: commento alla legge 20 maggio 1970, n.300, Giuffrè 1971).Parrebbe che si sia voluto avere un occhio di riguardo per le aziende di piccole dimensioni, perché queste avrebbero potuto subire un serio danno nel sobbarcarsi gli oneri che l’art. 18 impone alle aziende di grandi dimensioni, e la ricaduta sarebbe andata in ogni caso a carico dei dipendenti, con la perdita del loro posto di lavoro in caso di fallimento dell’impresa. Questo parrebbe il motivo per cui l’obbligo di ritirare “il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo” e di “reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro” tocca solo “al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro”. Se così è, la tutela garantita a certi lavoratori, e ad altri no, troverebbe un compenso indiretto in favore questi ultimi proprio nell’occhio di riguardo che lo Statuto dei Lavoratori ha nei confronti dei loro datori di lavoro. A quest’occhio di riguardo per le aziende di piccole dimensioni si preferì sacrificare la formale parità di diritti tra lavoratore e lavoratore, ma in cambio di una parità sostanziale, che aveva sempre come fine ultimo la difesa degli interessi del lavoratore, ma ponendola in stretta correlazione alla posizione dell’impresa sul mercato: il posto di lavoro era difeso comunque, ma indirettamente, risparmiando l’azienda di piccole dimensioni dall’oneroso obbligo che l’art. 18 imponeva all’impresa con più di quindici dipendenti.Un calcolo saggio, ma che in sé aveva desacralizzava il principio dell’inamobilità del dipendente e così rendeva l’art. 18 attaccabile alla critica di chi oggi, e non da oggi, lo considera non adeguato a tempi in cui le grandi aziende corrono sul mercato gli stessi pericoli che una volta minacciavano solo le piccole aziende.Delle due, una: o leviamo dall’art. 18 quella ingiusta discriminante tra imprese con più o meno di quindici dipendenti, che in ogni caso è da ritenersi inadeguata ai tempi, e proclamiamo sacra l’inamobilità del dipendente (toccherebbe ai sindacati, penso, raccogliere le firme per un referendum del genere, di segno esattamente opposto a quello che fu abortito nel 2003); oppure ci decidiamo una buona volta a prendere atto che l’art. 18 non serve a nulla.

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