Magazine Cultura

A cosa servono le fonti audiovisive? – What are uses of audiovisual sources?

Creato il 12 marzo 2013 da Letizialaura
      Segnalo qui un articolo della sottoscritta, di fine anno 2011, pubblicato sulla vecchia versione on line de Il Mondo degli Archivi, attualmente non facilmente reperibile. Ritenendolo ancora attuale, forse utile per una riflessione sul tema indicato, lo ripropongo. Rispetto a quanto scritto allora, voglio solo specificare che il testo venne sollecitato da un convegno dedicato ai patrimoni audiovisivi custoditi negli archivi d’impresa, organizzato dalla Fondazione Piaggio. Quello che allora mi colpì fu che si parlava di film d’impresa non considerando l’esistenza e la rappresentazione, oltre degli industriali e degli operai “inquadrati”, di altri attori sociali, ovvero dei movimenti sindacali, dei lavoratori in generale, del lavoro! Dal 2012, l’Amministrazione archivistica (DGA) ha iniziato a inserire nel Portale degli archivi d’impresa del SAN (Sistema archivistico nazionale) i film dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), evidenziando così anche “l’altra metà del cielo” per quanto riguarda la storia del lavoro e dell’industria attraverso le fonti audiovisive. I prossimi Quaderni della Fondazione Piaggio pubblicheranno gli atti dell’incontro del 26 e 27 maggio 2011, tra cui un saggio della sottoscritta che approfondisce tali argomenti, segnalando numerose risorse on line, nonché iniziative relative alla valorizzazione delle fonti audiovisive che raccontano la storia dell’industria in Italia, e soprattutto la storia dei lavoratori e del lavoro.Le immagini presenti sono dell’archivio fotografico della Fondazione Aamod. Milano, 1902. Un gruppo di giovani operaie, apprendiste nei laboratori di sartoria e modisteria, che hanno aderito allo sciopero delle 'piscinine'.

Milano, 1902. Un gruppo di giovani operaie, apprendiste nei laboratori di sartoria e modisteria, che hanno aderito allo sciopero delle ‘piscinine’.

     Se una grande utilità gli archivi, d’impresa in particolare, tra le tante, possono avere è proprio quella di insegnare, mostrare, far toccare con mano i processi produttivi e le storie degli uomini (dagli industriali, ai tecnici, agli operai) che li hanno realizzati. Funzione tanto più importante se riuscisse ad essere attivata e rivolta soprattutto al mondo della scuola di ogni grado, fino alla formazione universitaria.      Ma usare il termine archivi potrebbe indurre a qualche confusione o genericità. Parliamo di oggetti, di prodotti, che diventano documenti, tracce di memoria, che sono fonti, e parliamo di fonti particolari come le immagini. Tuttora esse sono affatto o in modo insufficiente ‘amate’, studiate, comprese, trattate, mostrate, spiegate, ‘donate’, o per meglio dire ‘restituite’ alla collettività, ai ragazzi soprattutto, che di immagini sono circondati, nelle immagini sono immersi, ma che non sanno guardare, capire, fruirne, se non in modo ‘consumistico’ (come del resto per molti prodotti dell’industria). La maggior parte dei ragazzi e molti adulti non hanno avuto la possibilità, grazie alla scuola innanzitutto, di educare il proprio ‘sguardo’, dunque di conoscere, trasformare, interpretare la realtà, di intervenire e interagire con essa, per poter vivere con senso di responsabilità e consapevolezza nella propria società. Nuoro, 1911. I lavoratori della Società Operaia, seguiti dalle loro famiglie, sfilano in corteo per le vie della città.

Nuoro, 1911. I lavoratori della Società Operaia, seguiti dalle loro famiglie, sfilano in corteo per le vie della città.

     Nessuno strumento è in grado ed è potente quanto il cinema, con il suo linguaggio e le sue fonti, i suoi processi produttivi, i suoi mestieri, per aiutare, con gli strumenti adeguati che ne rivelino i meccanismi e le intenzionalità, a crescere e a formarsi, e a scoprire l’incredibile nel nostro mondo, nella nostra società, nella nostra, anzi, nelle tante civiltà. Nessun mezzo è tanto ‘disarmante’ (al contrario oggi del celebre slogan secondo il quale il cinema è ‘l’arma più forte’) da riuscire a creare quella magia che è la possibilità di vedere non solo con un occhio o con una prospettiva, ma con tanti sguardi e prospettive diversi, contemporaneamente, aprendo così la mente e con essa l’anima.       E’ quasi elementare eppure ancora oggi i ragazzi (e gli adulti) sono talmente assordati e accecati dalle immagini da non essere più in grado di vedere, di orientasi, di saper fare, di imparare, di sviluppare conoscenza e creatività al tempo stesso. Eppure per ogni ragazzo, quando lo si ‘accompagna’, gli si spiega, gli si racconta, gli si fa scoprire… il cinema (tutto il cinema, fiction, documentario, d’impresa, di famiglia, di propaganda …) è sorprendentemente bello capire, riconoscere i tanti punti di vista e rendersi conto che tra questi c’è anche il proprio … ed è meraviglioso vedere lo sguardo dei ragazzi diventare consapevole (‘bonificato’ e ‘pulito’), proprio nell’essere rivolto alle immagini, senza più essere divorato da esse.      I tanti punti di vista e le tante intenzionalità e gli sguardi multipli delle immagini vanno quindi studiati, spiegati e praticati e non vanno certo rimossi, occultati, ignorati, snobbati (e sembra proprio che oggi in Italia, a partire dalla scuola, proprio questo si faccia).      Naturalmente il problema, che rischia di diventare alibi, è che le immagini, che queste fonti siano tante, troppe, commerciali, manipolabili, ‘ambigue’, spesso ‘spazzatura’… quindi, piuttosto che averci a che fare, meglio accantonarle. Troppo complicato trattarle, è già un problema averne fatto un ‘bene culturale’, addirittura considerate ‘documento’… (il discorso è ironico naturalmente).
Reggio Emilia, 1951, Scolara che scrive sulla lavagna una frase di sostegno per la lotta delle Officine Meccaniche Reggiane.

Reggio Emilia, 1951, Scolara che scrive sulla lavagna una frase di sostegno per la lotta delle Officine Meccaniche Reggiane.

     Per rendersi conto della situazione del bene culturale filmico,  basterebbe leggere e riflettere sugli articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che elencano i beni culturali, e tra essi le ‘cose’ considerate beni culturali, come le ‘pellicole cinematografiche’ e i ‘supporti audiovisivi’ in genere… potete provare a immaginare, ad esempio, la ricchezza, la complessità di un film documentario (e della storia del cinema documentario nulla o quasi si conosce in Italia), lo sguardo di un cinema documentario, ridotto a ‘cosa’, ovvero ad una ‘pellicola’, a ‘un supporto’? Il film è dunque un bene culturale in quanto pellicola e supporto, in quanto una ‘cosa’ (vecchia di almeno 25 anni o con carattere di rarità e pregio…). Questo rivela forse più che uno snobismo la grande difficoltà a conoscere, a capire il linguaggio filmico, a saperlo contestualizzare, a mettere a punto metodologie efficaci e corrette, ma anche una difficoltà forse ad accettare il fatto che il linguaggio filmico proponga dei punti di vista diversi, altri, molteplici, sui quali dover imparare ad esercitare uno spirito critico, ogni volta nuovo. Una difficoltà alla cui base forse c’è il timore che possa essere sviluppato proprio questo nei ragazzi: lo spirito critico che a sua volta sviluppa creatività in quelli che saranno i cittadini responsabili di domani?       Allora diventa troppo faticoso anche il trattamento di questo ‘bene’, che non può essere ridotto solo al ‘punto di vista’ conservativo dei supporti (per quanto oggi passi, in alcuni casi, e per chi può permetterselo, attraverso campagne meravigliose e a tappeto di digitalizzazione, con banche dati multimediali altrettanto belle e costosissime, dove purtroppo spesso i documenti sono tra l’altro decontestualizzati, che pochissimi magari guardano o a cui hanno accesso, tra cui ancor meno gli insegnanti, sebbene le eccezioni per fortuna vi siano). Credo che alcuni problemi, nodi da sciogliere siano questi.      Tornando agli archivi d’impresa e alle loro ‘collezioni’ di immagini (fisse e in movimento): perché non mostrare le fonti audiovisive nei loro contesti, in relazione ad altre fonti e ad altri contesti, che diventano un unico grande contesto, quando si parla di storia dell’economia e d’impresa per esempio?     Come si fa per esempio a insegnare il lavoro, i tanti lavori a un ragazzo, aiutandolo a orientarsi in quello che vorrà fare ‘da grande’, se non si mostrano i processi produttivi, i risultati di questi, ma anche la fatica, anche i rischi, anche la storia delle contestazioni e le rivendicazioni per delle condizioni migliori, oltre le idee, i progetti, le storie delle invenzioni e dei brevetti?
Roma, 1953. Bambini che giocano in strada nella borgata di Primavalle.

Roma, 1953. Bambini che giocano in strada nella borgata di Primavalle.

      Come si può pensare a tanti meravigliosi progetti di valorizzazione dei nostri beni culturali senza pensare, tra le finalità principali degli stessi, proprio al mondo della scuola, innanzitutto?       La storia del cinema, così appassionante quando ci si accosta ad essa, quella che non esclude il cinema documentario (d’impegno, con i suoi punti di vista dichiaratamente espressi e spesso rivendicati dagli autori) è la storia anche di una grande industria, tra le tante in Italia, come in altri paesi. E la coincidenza con la storia del Novecento non è casuale.       Come si può insegnare la storia contemporanea senza insegnare la storia del cinema, accanto a quella sociale, dell’economia, dell’industria, oltre della letteratura, del costume? E quale fonte è più efficace per tali insegnamenti, che riguardano l ‘età’ contemporanea, se non quella audiovisiva?       Come si può insegnare a essere cittadini senza l’uso delle fonti audiovisive? O forse è meglio dire senza un meta-uso delle fonti audiovisive? Senza una riflessione, a monte, sull’uso delle fonti audiovisive e soprattutto una pratica delle stesse?       Credo che una società che escluda dagli insegnamenti scolastici non solo la storia del cinema e dell’audiovisivo, ma anche una loro pratica, sia una società che non voglia che i propri cittadini siano responsabili, creativi, partecipi, credo che non sia una società democratica, credo che sia una società che voglia sottrarre un diritto fondamentale a un ragazzo: quello di crescere potendo scegliere liberamente e consapevolmente, potendo esprimere il proprio ‘punto di vista’, con il diritto ad essere ascoltato e ‘visto’ (e il dovere di farlo).
Italia, 1970. Gruppo di comparse per la scena delle manifestazioni contro gli immigrati, durante le riprese del film drammatico

Italia, 1970. Gruppo di comparse per la scena delle manifestazioni contro gli immigrati, durante le riprese del film drammatico “Sacco e Vanzetti”di Giuliano Montaldo.

     E credo che gli archivisti, gli storici, gli insegnanti, i docenti, i registi, le associazioni professionali, le associazioni di promozione del cinema, i Ministeri (dal Miur al MiBAC) e le loro Direzioni abbiano il dovere di confrontarsi su questi temi … seriamente e con urgenza.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :