A cosa servono le mani

Creato il 24 settembre 2014 da Moky
Diverse settimane fa, Valeria ha scritto un post che ha scatenato in me un'ondata di reazioni e ricordi… in questo post racconta alcune sue esperienze durante la sua recente vacanza in Italia.
Leggo:
"Qualche giorno fa un mio contatto fb scrive qualcosa su un comportamento sbagliato di un bambino nei confronti della madre e tutti i suoi contatti hanno deliberato che l’unica soluzione e’ lo schiaffo. Una generazione di picchiatori. Non riesco a capire come un adulto possa alzare le mani su un bambino, per definizione indifeso, senza considerare quel gesto violento, senza considerarlo un abuso, come possa poi guardarsi allo specchio senza farsi schifo.
Qualche settimana fa ero in un locale all’aperto, era tardi, circa mezzanotte. Arriva una coppia, il figlio dorme nel passeggino, ma la musica ad alto volume lo sveglia quasi subito. Comincia a piangere, la mamma letteralmente gli ordina di mettersi il ciuccio e chiudere gli occhi, lui piange piu’ forte e lei con un gesto delle mani gli fa capire che se avesse continuato, lo avrebbe picchiato.E mi sento lontana anni luce."
Non e' questo il primo post in cui Valeria paragona i genitori italiani che incontra quando torna in visita in Italia con i genitori che ha incontrato/incontra a L.A.: apprezzo molto la sua opinione perché lei, che vive a Los Angeles da 11 anni, diversamente da me tollera gli Stati Uniti e gli americani (pur apprezzandone alcune delle diversità positive), subisce la distanza geografica e culturale con l'Italia come se fosse l'effetto collaterale di una medicina amara, e vive la dicotomia dell'espatriato come una ferita che non si può cicatrizzare. Quello che nota e' che i genitori italiani sono più propensi non solo all'uso delle mani per disciplinare i figli, ma anche all'uso frequente di etichette e nomignoli denigratori, che non hanno nessuno scopo se non quello di far evaporare l'autostima dei figli. Come in quest'altro post la cui frase finale e' uno schiaffo virtuale al modo di pensare di tanti genitori, italiani di sicuro ma non solo: "E con buona pace del mio amore per l’Italia, penso che un paese che parla cosi’ ai bambini, e’ un paese che ha poche speranze per il futuro."
Non voglio commentare se sia vero o meno che in Italia i genitori siano generalmente più maneschi o più calunniatori nei confronti dei figli di quelli americani, perché essendo americana e filo-americana, potrei essere tacciata anche giustamente di partisanship, di essere prevenuta... ma nella mia esperienza di 21 anni di vita qui, di cui 19+ da mamma, non ho mai visto un genitore usare toni derogatori o usare le mani con la stessa frequenza, nonchalance e tacita approvazione di chi e' testimone casuale,3 che ho visto e vissuto personalmente in Italia.Generalmente qui si tratta di violenze/maltrattamenti nascosti, la cui esistenza, se scoperta, diventa competenza dello stato, del Department of Child Safety (conosciuto comunemente come CPS, Child Protective Services): la violenza sui bambini in ambito famigliare quando viene portata alla luce del sole (e sotto la lente di ingrandimento dei social media) viene denunciata e generalmente punita. O come minimo apre un dibattito intenso.
Prendiamo ad esempio quello che sta succedendo in questo momento qui: Adrian Peterson, uno dei running back dei Minnesota Vickings (una delle posizioni del football più prestigiose e remunerate) qualche giorno fa e' stato accusato di aver picchiato (abusato) il figlio di 4 anni (quattro, eh?) perché il bambino aveva spinto uno dei fratelli giù dalla moto parte di un videogioco. Adrian, da bravo papa' cresciuto in Texas a suon di whupping, di menate da parte dei genitori, armatosi allora di uno switch, un ramo (si', proprio un bel rametto cui ha tolto le foglie), dopo aver tirato giù i pantaloni al bambino, lo ha "disciplinato" una ventina di volte, e lo ha fatto così bene che quando e' tornato a casa dalla mamma, il bambino e' stato subito portato dal pediatra (la distribuzione famigliare non e' chiara, ma penso che Peterson abbia diversi figli con diverse donne) che, quando lo ha visto, ha dovuto chiamare la polizia/servizi sociali.  Queste sono alcune delle foto fatte dai servizi sociali:

Tra le varie ferite, oltre a quelle che vedete nelle foto sulle gambe, ce ne erano diverse simili sui testicoli ed anche su mani, braccia e polsi. Ferite da autodifesa insomma.Tutto questo e' successo a fine maggio. Con lentezza, finalmente a settembre e' arrivata l'accusa di maltrattamento/abuso da parte dello stato del Texas contro Peterson e agli inizi di ottobre, Peterson tornerà in tribunale per il processo. Nel frattempo la contea in Minnesota, dove Peterson vive, sta cercando di limitare i contatti tra l'amorevole padre e il bambino, che durante l'intervista con la polizia, ha detto che il papa' tira anche pugni in faccia e, oltre a rami e verghe, usa spesso anche le cinture, di cui ha una vasta collezione nell'armadio Ah, ha persino una whooping room, una stanza per le botte. Lovely.Ora, non mi voglio soffermare sulla reazione patetica della squadra e della NFL, la lega nazionale di football, che inizialmente lo avevano sospeso per una domenica, e che solo dopo la minaccia della perdita di sponsor hanno realizzato che forse sospenderlo per una sola giornata non era abbastanza e che avrebbero dovuto quantomeno applicare al loro giocatore una misura disciplinaria proporzionale al modo vergognoso con cui lui aveva disciplinato il figlio, sospendendolo così indefinitivamente (ma con paga… )L'indignazione pubblica ha dato il peso che si merita ad una vicenda allucinante, se pensiamo che siamo nel 2014 e non nel 1800, e dopo gli sponsor che hanno minacciato (e uno lo ha fatto) di cancellare il contratto con i Vikings e con la lega, anche il governatore del Minnesota si e' fatto sentire sollecitando la sospensione. C'e' da aggiungere che il caso di Peterson si somma ad altri casi che si stanno dipanando contemporaneamente e che coinvolgono diversi giocatori professionisti colti in flagrante o denunciati per maltrattamenti e abusi verso figli/fidanzate/mogli/compagne vari, anche questi casi che le squadre/lega avevano cercato di coprire in un primo momento, ma che invece, grazie a giornali/media curiosi ed assetati di audience, sono stati scaraventati giustamente di fronte all'opinione pubblica…… voglio concentrarmi invece sulle reazioni suscitate da questo caso, dove un padre il cui lavoro e' quello di spingere, correndo, dei panzer incazzati di 150 kg l'uno tutto il giorno, ha deciso , per insegnare ad un figlio di 4 anni a non spingere i fratelli e fare il prepotente, di picchiarlo usando un ramo: c'e' stato chi, inorridito da questa violenza verso un figlio/bambino, ha accusato Peterson di essere un cattivo genitore, e poi ci sono stati quelli (tanti…) che lo hanno pubblicamente difeso citando tradizioni culturali, religiose, etniche, oppure l'indebolimento della figura del genitore che vuole essere amico più che genitore, e chi più ne ha, più ne metta  … Una discussione che sta mettendo in luce una cultura di violenza contro i nostri figli così pervasiva e internazionalmente diffusa, che c'e' da stupirsi che, come specie, non ci siamo ancora annientati.
Sono interessanti da notare i punti di "difesa" usati da Peterson durante le interviste con la polizia e attraverso il suo avvocato, a giustificazione del suo violento attacco contro il figlio, perché sono esattamente le stesse giustificazioni usate da quanti, americani, italiani e sapessi leggere altre lingue, immagino di qualsiasi altra nazionalità, credono fermamente che picchiare/sculacciare/alzare le mani contro i figli funzioni come metodo educativo e disciplinare:

  1. la sua intenzione non era quella di far male al figlio, ma di insegnargli una lezione. Di disciplinarlo insomma. 
  2. prima di sculacciare i figli, lui comunque gli parla, gli spiega cosa hanno fatto di sbagliato. 
  3. se il figlio avesse pianto, lui si sarebbe reso conto che stava andando troppo pesante. (In altre parole, la colpa per le ferite multiple sanguinanti  e' del bambino.)
  4. non si era accorto, durante la "sessione educativa", che il ramo usato si "avvolgeva" intorno alle cosce del bambino, causando così più danni di quelli che solitamente, dice lui, vengono lasciati durante uno switching, una pestata con una verga/ramo
  5. per lui sculacciare (usa il termine whooping) fa' parte del suo ruolo di genitore, e pur scusandosi per aver fatto più male di quello che intendeva (che cosa intendeva fare comunque con un ramo?), lui continuerà a disciplinare i figli nello stesso modo, anche se probabilmente senza lo switch, perché   "I know how being spanked has helped me in my life.” Lui sa che l'essere stato picchiato lo ha aiutato nella vita. 
Ognuna di queste giustificazioni parte dalla premessa che alzare le mani contro un figlio sia diverso da alzare le mani contro chesso', un collega cui dovete spiegare per la centesima volta come fare qualcosa o il room mate che beve la bottiglia di vino che avevate messo da parte per un'occasione speciale, o l'amico che esce con la vostra ex-ragazza, l'estraneo che vi pesta i piedi, o il vicino con la musica a tutto volume. Certo, anche in questi casi, potreste benissimo prendere un ramo da un albero del giardino e insegnare loro una lezione, ma il risultato sarebbe molto probabilmente una denuncia con arresto, magari accompagnata da un occhio nero. E se viveste qui in America e' altamente probabile un vostro futuro come dimostrazione umana di groviera. 

Ma non e' assolutamente diverso, e' lo stesso atto, fatto solo contro una persona che non può difendersi, non solo perché e' fisicamente più piccola, ma perché in questa relazione genitore/figlio ha perso il diritto di essere protetto. Perché comunque un adulto e' protetto dalla legge e ha il diritto di difendersi dalla violenza di un altro adulto. Un figlio invece no. Fosse stato un estraneo a marchiare con un bastone il bambino, nessuno avrebbe messo in dubbio che si tratta di abuso (pensate che un altro figlio di Peterson di 2 anni e' stato ucciso dal boyfriend della madre del bambino un anno fa …) 
I nostri figli, di cui dovremmo essere i primi difensori, possono diventare il nostro punching bag, e tutti fanno spalluccia e anzi, applaudono, perché e' così che si disciplinano i figli che sbagliano. E perché, come una tradizione perversa che si passa da padre in figlio, "anche io sono stato picchiato, e mi ha fatto tanto bene".
E questa, fatevelo dire da una che e' stata "sculacciata" e che ha brevemente sculacciato, e' una stronzata colossale.
Premessa importante: voglio bene a mia mamma, ai miei genitori, quello che sto per raccontare fa' parte della mia infanzia, mi ha influenzato profondamente, e non posso purificare la mia esperienza e trasformarla in qualcosa che non e'. Ho tantissimi ricordi belli che mi hanno aiutata ad accettare quelli che vorrei dimenticare, quelli che preferirei non avere. Come sempre nella vita non possiamo cambiare quello che ci capita, le carte che ci sono state distribuite, quello che possiamo fare e' affrontarlo con coraggio, ed imparare dalle avversità ad essere diversi e migliori. E spezzare il ciclo di violenza.
Mia madre era la disciplinaria di casa e io ero quella che, penso, la disturbavo/provocavo/facevo arrabbiare di più, certamente più spesso delle mie sorelle. E' un talento, eh? non ce l'hanno mica tutti… Mia mamma mi suonava come un tamburino e il suo target preferito era il mio posteriore. I miei ricordi sono in generale piuttosto sfocati (per fortuna), non saprei dirvi se venivo sculacciata tutti i giorni o meno, pero' mi ricordo benissimo di come la sua faccia si trasformava quando era pronta all'attacco alla disciplina/punizione, e io sapevo senz'ombra di dubbio che avevo combinato qualcosa di sbagliato: le labbra le si contraevano un po' a culo di gallina, qui si dice pucker up ma non mi viene in mente se esiste un termine simile in italiano, come se stesse per darmi un bacio (ha ha!), e così facendo le si allungava un po' il mento, mentre il suo corpo intero si contraeva come una corda di chitarra… sapevo allora che stavano per arrivare. Quando si trasformava, avevo paura di mia madre. In casa si usavano eufemismi tipo darmi le to'-to', dal suono che accompagnava le battute "to', to', to'". Io ero convinta che non ci fossero altre alternative e che in fondo, me le meritassi tutte. Solitamente usava la mano nuda, mi ricordo di una sola volar che abbia ha usato uno strumento, il battipanni che mi aveva lasciato un bell'ematoma, pero' la mano la sapeva usare bene… 
Un evento cruciale e' successo quando avevo circa 10 anni: mi ero arrabbiata con mia mamma non mi ricordo bene per cosa, e avevo deciso di scappare di casa, un desiderio che ho avuto spesso specialmente durante l'adolescenza. Ovviamente, prima di scappare di casa, mi sono presa quelle due cosine che mi sarebbero servite nella mia"nuova vita". Una di queste era la scatolina in cui mettere l'apparecchio che portavo tutto il giorno. Questo particolare e' importante perché da' un contesto temporale al mio ricordo.
E dove si scappa a 10 anni? Nel parcheggio dietro casa, "nascosta" dietro una macchina, duh! Non chiedetemi perché . E' la logica ferrea di ogni decenne.Mia madre mi poteva vedere dal balcone al quinto piano, ma io non lo sapevo, dopotutto ero una bambina. Lei dopo un po' e' scesa, mi ha afferrato e mi ha praticamente tirato/fatto marciare fino a casa a colpi di sberle sul didietro. Dal parcheggio, alla nostra scala e poi i cinque piani in ascensore, e' un bel tragitto, soprattutto se fatto al ritmo di sculacciate. Se qualcuno aveva visto, nessuno e' intervenuto, ma d'altronde si tratta di 40 anni fa, non era certamente l'unica a comunicare la sua frustrazione e disappunto con le sberle. Mia mamma era sicuramente stanca, con una bambina di 2 anni circa cui stare a dietro oltre a me e all'altra mia sorella, non ho nessun dubbio; ma la sua reazione al mio exploit di bambina e' stata esagerata, non credo che debba spiegarlo a nessuno… Questo cocktail di stanchezza, frustrazione e rabbia mi ha sbrindellato le mutande. Per non parlare poi del colore delle mie chiappe, che era cambiato da rosa a viola.Francamente non mi ricordo che lezione avrei dovuto imparare, pero' mi ricordo benissimo di aver giurato che me ne sarei andata di casa prima o poi, quando avrei potuto. Cosa che ho poi fatto, almeno temporaneamente, una decina d'anni dopo. E' stato da allora una rapporto in discesa, quello con i miei, specialmente mia mamma, una relazione molto difficile e complicata. Non sono mai riuscita ad avere un rapporto disteso, di confidenza e fiducia con loro, finche' non sono andata a vivere per conto mio (vabbe', col mio ragazzo). Si e' poi normalizzato e livellato tutto quando sono andata a vivere in California e mi sono sposata. 

Non la giustifico, ma la capisco, anzi c'e' voluto che mi sposassi e avessi figli per capire quanto sia difficile navigare nel mare fatto di amore infinito e frustrazioni che e' l'essere genitore, cercando di stare a galla durante frequenti tempeste, nella speranza di non sbagliare, ma sbagliando sempre e comunque.Ho sempre pensato che i miei avessero fatto del loro meglio con noi figlie, ma capisco adesso che ho 4 figli, che fare del proprio meglio non basta: va bene se devi preparare una torta, ma e' un limite quando parliamo della responsabilità che abbiamo nei confronti dei figli.Col tempo ho capito che fear-based parenting che mi era stato indirettamente insegnato attraverso le tante sculacciate, questo basare il proprio lavoro di genitore sull'essere temuti dai figli forse andava bene 100 anni fa, ma e' assolutamente disfunzionale oggi.Per molti anni, inclusi i primi anni in cui sono diventata madre, anche io, come Peterson e tutti quelli che sono a favore della violenza (intesa come "ogni atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi di offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei suoi beni o diritti" - Treccani) perpetrata contro i figli, giustificavo le sculacciate e sberle ricevute per 3 motivi principali: 

  1. mi meritavo quelle botte, visto che probabilmente avevo una boccaccia e "rispondevo" e facevo tutto quello che non dovevo fare. 
  2. anche mia madre era probabilmente cresciuta a suon di schiaffi, e usava gli strumenti che aveva imparato a casa, utilizzando i modelli che aveva ricevuto. Quindi non era colpa sua di per se'.
  3. alla fine tutte quelle battute mi sono state utili, perché sono cresciuta "bene". 
Quello che mi disgusta di più e' che il discorso del "meritarsi" una sberla e' anche supportato da chi usa la bibbia come libro supremo di tutte le scienze, inclusa la pedagogia. Organizzazioni come Focus On The Family, nata 40 anni fa con l'intenzione di promuovere idee conservatrici e il modello tradizionale della famiglia (in altre parole, niente sesso fino al matrimonio, matrimonio ovviamente solo tra un uomo e una donna, adozioni solo per coppie eterosessuali sposate, preghiera nelle scuole, insegnamento del creazionismo, sculacciare come forma positiva di disciplina… avete capito i tipi, no?) continuano a giustificare lo spanking, ovvero la sculacciata, come forma di disciplina necessaria. Che dire poi dei seguaci delle dottrine di Michael e Debi Pearl, autori del vendutissimo libro To Train Up a Child (e di loro seguaci ce ne sono centinaia di migliaia qui, se non milioni, tra cui i famosi Duggar, che suggeriscono questo libro nel loro sito, tra le "risorse per genitori") in cui raccomandano l'uso di una bacchetta, il rod of training, anche su bambini di 6 mesi. 
Vi invito, se non avete appena mangiato, a leggere questo articolo della merda umana pastore Pearl (e si', perché ovviamente e' un pastore cristiano) in cui con un turbinio di citazioni bibliche a supporto, vi spiegherà la differenza tra castigo e punizione, vi spiegherà come e perché bisogna usare la bacchetta per "castigare" i figli anche di 6 mesi (leggasi "pestarli con un bastone", proprio come Dio ci castiga quando usciamo dalla sua gloria; a proposito di questo rod of training, in un'intervista Mr. Pearl suggerisce che un'ottima "arma" da usare coi figli consiste di un tubo idraulico flessibile di mezzo cm di diametro, che può essere facilmente arrotolato e tenuto in tasca, pronto in ogni momento, e il cui materiale fa male ma e' soffice abbastanza da non lasciare segni sul muscolo o sulle ossa.) 
Con la bibbia in mano, tutte queste persone a favore delle punizioni - ok, castighi - corporali sostengono che sculacciare un figlio come castigo non e' un abuso, in quanto dovrebbe essere fatto a mente fredda, con forza ma non eccessivamente, e' un castigo che deve "pungere, ma non fare male". Lasciamo stare che la differenza tra "punizione" e "castigo" esiste solo nella loro mente distorta da versetti biblici scritti millemila anni fa, quando i sacrifici umani erano ancora considerati ok e si seguiva legge del taglione, ma non ci vuole una laurea in psicologia per capire che l'uso di rami/bastoni/battipanni/mani poteva forse andare bene quando la bibbia e' stata scritta, ma oggi che sappiamo che i bambini hanno la possibilità di imparare e confrontarsi col mondo esterno molto più che nel passato, questi metodi di punizione/castigo creano il risultato opposto, a lunga scadenza. La violenza genera violenza, e i figli imparano più osservandoci, come ci comportiamo quando comunichiamo con loro e con il resto del mondo che con mille sberle.
Altri continuano la loro apologia della violenza contro i figli evidenziando come i bambini insopportabili, quelli che testano la pazienza e l'udito di tutti, sono i figli di genitori che non usano punizioni corporali, e citando situazioni che abbiamo vissuto tutti, dove i bambini sono out of control,  raccontano di bambini che urlano buttandosi a terra nei supermercati, che spingono gli amici giù dallo scivolo, mentre i genitori inutilmente li rincorrono implorando "devi rispettarmi, ti ho detto di smetterla". E di genitori così ne abbiamo incontrati tutti, al parco giochi, al ristorante e persino quando ci si ritrova nel gruppo esteso famigliare. Mia sorella ad esempio, ha avuto un figlio che e' stata incapace per anni di guidare. Quando lo aveva portato in Italia la prima volta, quando aveva due anni, i miei erano rimasti esterrefatti perché i lei e il marito gli lasciavano fare tutto, senza mai intervenire con fermezza. L'altra sorella, quella che vive in Italia, quando ancora mi parlava mi aveva detto a proposito di nostro nipote "se quello era mio figlio, giuro gli avrei dato uno sberlone". Chissà se ora che anche lei ha 2 figli suoi, ha mantenuto la promessa… 
Questo per dirvi che e' vero, ci sono genitori che sono dei molloni coi figli, come appunto mia sorella, ma non perché che non li menano quando si comportano in modo improprio, ma perché invece di  guidarli, questi genitori hanno frainteso il loro ruolo,  hanno lasciato il timone in mano ai figli. Hanno scelto una via d'uscita, invece di accettare la responsabilità di dare ai figli una direzione da seguire,  
"Menarlo o mandarlo alla deriva" non sono mica le uniche alternative per crescere un figlio. Sono di sicuro i metodi dei genitori più pigri, quelli più facili.  
Ma non ci sono scorciatoie quando si cresce un figlio. Lo so, perché le ho provate anche io, e non funzionano.
Chris ha ricevuto qualche sculacciata quando era piccolo, e si ricorda bene della volta che gli ho lanciato, mancandolo ovvio, un pettine. O era una spazzola? Whatever. 
Dopo ogni sculacciata, mi ricordo che mi sentivo un verme, mi immaginavo con la faccia trasformata, magari anche a me veniva il mento lungo e la bocca a culo di gallina… Ma continuavo a pensare che non ci fossero alternative, quando un figlio "si comporta male", bisogna fargli capire chi comanda, e lo si può fare solo accompagnando alle parole una pacca. Che male c'e' vero?

Ho smesso di sculacciarlo dopo che un'estranea in un ristorante dove ero andata sola con Chris ed Emily che aveva pochi mesi, mi ha sentito sgridarlo in italiano… Di sicuro aveva schiacciato tutti i pulsanti giusti e di sicuro io ero super-stanca, avendo un bambino di nemmeno 4 anni e una di pochi mesi. Sono anche sicura che non dovevo essere qualcosa di bello. Questa signora deve essersi spaventata per Chris, mi si e' avvicinata e mi ha guardato negli occhi e mi ha detto "I don't know what you do in your country, but in this country, we don't talk to children like that." Non so cosa tu faccia nel tuo paese, ma in questo paese, non parliamo così ai bambini. 

E' stata una doccia fredda, e ne avevo bisogno. Mi sono spaventata tantissimo e abbiamo finito di pranzare in velocità, aspettandomi l'arrivo della polizia o del CPS.
Vorrei potervi dire che l'istinto di alzare le mani e' evaporato quel giorno, ma non e' stato così: mi trovo ogni giorno a combattere contro me stessa e contro l'idea di "pungere" i miei figli quando non si comportano come dovrebbero (secondo me), ora non tanto usando le mani ma la lingua. 
Ne parlo con i miei figli ora che sono più grandi, della mia fatica quotidiana di essere una madre fair, aperta e disponibile ad ascoltarli… e loro me lo dicono, me lo fanno notare quando sbaglio. E non vi sto nemmeno a dire quante volte mi scuso. Perché così come stanno crescendo loro, sto crescendo anche io come madre, spero.  Ci aiutiamo a vicenda in questo viaggio, che non finirà con me o con loro, ma continuerà con i loro futuri figli, se ne avranno.
Non ho nessuna credenziale psicologica o pedagogica ovviamente, se non la mia esperienza, sia da figlia che da madre, ma vorrei comunque offrirvi alcuni suggerimenti, alcune idee che mi hanno aiutato nei momenti difficili, una sorta di 12 Passi per il genitore che sta per oltrepassare il limite (sono solo 5 per vostra fortuna…), per il genitore che magari vuole cambiare metodo lasciando da parte il rod of training, o la mano nuda:
  • nei momenti di maggiore frustrazione o di lotta o rabbia con una figlia (o figlio), fate l'opposto di quello che vorreste fare istintivamente. Ad esempio, quando vi verrebbe voglia di urlare o alzare le mani, abbracciatela e ditele "ti voglio bene". La situazione si calmerà immediatamente e sarà più facile parlare e ragionare. E questo funziona sia con figli piccoli che con figli grandi
  • il "time out", il periodo di isolamento dato ai figli per calmarsi e ripensare alle loro azioni, non e' solo per i figli: una pausa per riflettere e pensare a come agire, a cosa dire e' fondamentale anche per i genitori (accompagnati magari da un bicchiere di pinot grigio… scherzo!). Spesso una pausa di 10 secondi e' sufficiente per fermare il treno di emozioni che potrebbero portare all'uso delle mani
  • non etichettare i figli, non importa quanto ripetano lo stesso errore o quanto frustrati voi siate con un certo loro modo di fare! Non fateli vergognare. Immaginate di essere voi dalla parte ricevente di "Sei sempre pigra!" "Sei stupido!"  "Sei grassa!" Vi dico qual era la mia di etichetta: \ i miei erano molto creativi e durante la mia adolescenza, siccome secondo loro ero sempre triste (e immagino lo fossi anche, principalmente a casa, ovvio) mi avevano appioppato il famoso nomignolo "Gufon Face". Quanto l'ho odiato e soprattutto quanto ho odiato il fatto che la loro fonte di ridicolo era la mia fonte di umiliazione.
  • il rispetto e la fiducia non sono strade a senso unico: per riceverli, bisogna darli. Nello stesso modo, se vuoi essere ascoltato dai figli, devi imparare ad ascoltarli. Il che non vuol dire cedere a ricatti e richieste, vuol dire solo che diamo validità ai loro sentimenti, che e' molto importante.
  • sbagliare e' parte della nostra condizione umana, e va bene così, sia per noi che per i nostri figli. L'importante e' chiedere scusa sinceramente.

Credetemi, non e' facile cambiare, non e' facile interrompere il ciclo di violenza che si impara da piccoli. 
Ma e' possibile, basta davvero volerlo, ed essere umili abbastanzada riconoscere di essere imperfetti e voler migliorare. Non c'e' bisogno di picchiare nessuno per essere ascoltati, anche se in certe situazioni verrebbe proprio voglia di farlo (su, su, non mentite: quante volte avreste voluto usare un bastone per disciplinare l'impiegata dell'anagrafe che vi sbaglia il documento o quello delle poste che si muove con la velocità  di uno bradipo-zombie?)  Ricorrere alla violenza, sia essa provocata e meritata o meno, e' un segno di fallimento, comunque lo vogliate imbellire, farlo benedire dal pastore di turno o coprirlo di pailettes e gloria postuma.

Ogni volta che ho alzato una mano verso mio figlio e non era per dargli una carezza, ho fallito nel mio ruolo di genitore. 

Ogni volta invece che ho alzato una mano verso uno dei miei figli e gli ho dato una carezza e non una sberla, ho vinto una battaglia. E siamo tutti migliori per questo.
Violet e' tornata a casa un paio di giorni fa con questo "lavoro" fatto in classe. E' appeso al muro, per ricordarmi a cosa servono le mani.

Vi lascio con la bellissima poesia di Dorothy Law Nolte (ho anche il libro…) Qui la traduzione.

p.s.: un ottimo libro che mi ha aiutato tanto e' Men Are From Mars, Women Are Form Venus…Children Are From Heaven di John Gray. E' stato tradotto in italiano, e lo trovate qui

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