ph. Francobello
Costigliole d’Asti è il comune con la più estesa superficie vitata del Piemonte. Regno di Moscato e di Barbera, che qui assume un caratteristico accento di viola, racchiude una perla, l’Uvalino, vitigno da cui la famiglia Borio di Cascina Castlèt ricava l’Uceline (da un nome seicentesco della varietà, caratterizzata da maturazione tardiva e, quindi, maggiormente soggetta all’attacco degli uccelli). Vino dal colore rosso granato con nuances aranciate se invecchiato, sentori di piccoli frutti, liquirizia e spezie all’olfatto ed equilibrata struttura tannica.
L’Uvalino, attestato sin da fine Ottocento tra Costigliole, Canelli e Montaldo Scarampi, dove ogni famiglia ne possedeva almeno un paio di filari, serviva per irrobustire gli altri vini, per produrre la quetta, bevanda estiva, e di rado lo si vinificava in purezza.
La peculiare resistenza alla Botrytis Cinerea (fungo parassita), imputata all’elevato tenore di resveratrolo nelle bucce, rende l’Uvalino adatto alle vendemmie tardive e alla produzione di vini da uve appassite.
“Una volta era usanza che nel piantare una vigna si mettesse di tutto un po’, tutto alla rinfusa…. Ora però si va nel difetto opposto, e si vedono abbandonate certe varietà che per i loro pregi non lo meritano”: così l’astigiano Martinotti descrisse nel 1891 i rivolgimenti in atto nella geografia ampelografica piemontese. Dalla coesistenza di vitigni dominanti e vitigni minori, detti in piemontese Uvari (da cui vin d’Uvari, prodotto miscelando uve minori) si passò alla relegazione di questi ultimi in terreni marginali e, infine, dopo la fillossera, nel primo quarto del Novecento, alla conservazione delle sole varietà minori ritenute degne di sopravvivere. Tra queste, l’Uvarino, poi Uvalino, nome che nell’Astesana ottocentesca designava, all’interno della famiglia degli Uvari, un nucleo varietale di maggior pregio, di cui s’era smarrito il nome originario, forse identificabile con il Neirano piccolo, attestato agli inizi dell’Ottocento, e con l’antico Ghedone.
Mentre sui versanti collinari impera la vite, nei fondovalle si coltivano ortaggi, come l’ormai raro Peperone Quadrato della Motta che, tra le varietà tradizionali del Piemonte – Quadrato di Carmagnola, Corno di Bue, Trottola, Tomaticòt o Mojà, Peperone Cuneo, Quarantino, Cornetto Verde, Peperone di Capriglio – risalta per la forma massiccia, le scanalature pronunciate, la polpa gialla o rossa, spessa e carnosa, il sentore piccante.
ph. Francobello
Sul mosaico di vigne, orti e boschi svetta il castello di Costigliole, fondato nell’XI secolo (con diploma del 1041 l’imperatore Enrico IIII riconosceva alla Chiesa astigiana i diritti su una fortificazione posta su una costa o costale, da cui il toponimo) o, secondo altri, nel XIII secolo.
Tra la fine del XII secolo e il principio del XIII, nuovi insediamenti vennero edificati, per iniziativa del comune di Asti, nelle aree di conflittualità con i poteri concorrenti: Costigliole, sita in prossimità del confine sud del posse comunale, su cui si attestavano le frizioni con Alba, il marchese del Monferrato e il marchese di Busca, fu una delle prime villenove a prendere forma, nel 1198. La sua fondazione si riconduce alle tensioni tra Asti e Manfredi di Busca per il controllo della contea di Loreto, oggi frazione di Costigliole, divisa a metà tra Astigiani e marchese in forza di un patto del 1149.
I fatti bellici cinque-seicenteschi ritardarono nell’Astesana la trasformazione in senso residenziale delle antiche fortezze, posticipandola alla seconda metà del XVII secolo. I primi restauri del castello di Costigliole, posseduto in condominio dagli Asinari di San Marzano e dai Verasis, risalgono al primo trentennio del Settecento, ma fu nell’Ottocento che l’edificio assunse l’aspetto attuale in base ai criteri del revival neo-gotico.
Foto di Paolo Barosso
L’ispirazione a modelli medievali nell’architettura del XIX secolo si manifestò sia nella riplasmazione di edifici esistenti, riportati ad un’unitarietà stilistica antistorica, come nel caso di Costigliole, sia nella realizzazione ex novo di ville patrizie che si richiamavano all’idea di castello.
Sull’onda della moda medievale, manifestatasi già nella seconda metà del Settecento, si diffuse il giardino all’inglese o paesaggistico, cui s’ispira il parco di Costigliole, che doveva riprodurre la spontaneità della natura e suscitare sentimenti con segni ben individuati, come tempietti, obelischi, urne, statue, fabriques goticheggianti, dove si intrecciavano esotismo, storicismo e neomedievalismo. Nella prima metà dell’Ottocento il gusto per il giardino paesaggistico s’impose in Piemonte nella rilettura romantica di Xavier Kurten, con le sue prospettive pittoresche, l’alternarsi di macchie d’alberi e distese prative, l’inserimento di specchi d’acqua.
Nel castello dimorò per un certo periodo Virginia Oldoini, nota come contessa di Castiglione, sino a che il dissesto finanziario del marito, Francesco Verasis, non lo costrinse nel 1859 a cedere la quota del maniero al principe polacco Giuseppe Poniatowski.
Paolo Barosso