La locandina italiana (banale) racchiude il senso del film: il triangolo erotico (presunto!) tra l'isterica Sabine Spielrein, il suo mentore Carl Gustav Jung e Sigmund Freud. Sesso + psicoanalisi: wow, come un pisello nel baccello (cito Laurel e Hardy, beninteso). Ci aveva già ricamato su Roberto Faenza (Prendimi l’anima) facendo incazzare (giustamente) Aldo Carotenuto, e prima ancora Carlo Lizzani (Cattiva). Mi cullavo nell’illusione che sarebbe stato una sorta di M. Butterfly nel mondo della psicoanalisi, invece Cronenberg prende personaggi di complessità e fascino vertiginosi e li rende pupazzetti di plastilina. Del suo innato senso narrativo, del suo tocco inquietante, non ci restituisce praticamente nulla. Messinscena elegante ma esangue, i personaggi si relazionano meccanicamente e, in materia di spiegazioni psicoanalitiche, le ingenuità non si contano. Il percorso di guarigione della Spielrein, che sarebbe stato interessante da comprendere, è zeppo di lacune; il rapporto Analista/Paziente ha poco a che fare con il piano immaginativo e molto (troppo) con le sculacciate. Libido un tanto al chilo, buttata lì come una bistecca sul bancone del macellaio. E poi, insomma: oggi fa tanto fico affermare che nonno Sigmund è superato, eppure nessuno ha saputo propinarci un modello di psiche che funzioni meglio del suo. Nei panni di Freud Viggo Mortensen ha solo due espressioni: con sigaro e senza sigaro (al suo posto doveva esserci Christof Waltz, e allora sarebbe stata ben altra storia). La Knightley intriga come una stufa a kerosene. Meglio Michael Fassbender, ma forse soltanto perché Jung mi sta simpatico. Unica cosa davvero bella: la ricostruzione dello studio di Freud in Berggasse 19, IX distretto comunale di Vienna.
A Dangerous Method, di David Cronenberg, con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Sarah Gadon (GB/Germania/Canada, 2011, 93’). In programmazione al Cinema Massimo di Torino.