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A dangerous method parla della nascita della psicanalisi (è questa, infatti, il 'pericoloso metodo' del titolo), approfondendo i perversi e complicati rapporti che, sugli inizi del secolo scorso, intercorsero tra Sigmund Freud (il 'padre' per antonomasia di questa scienza), l' 'allievo' Carl Gustav Jung e una paziente di quest'ultimo, la russa Sabrina Spielrein, affetta da un grave disturbo mentale e poi divenuta sua amante dopo esserne stata guarita. Attenzione allo scenario storico: siamo esattamente nel mezzo alle due guerre, tra rigurgiti di imperialismo e prime avvisaglie di derive antisemite che costringeranno in seguito l'ebreo Freud a rifugiarsi a Londra per proseguire i suoi studi.
A Mosca invece la Spielrein, una volta risanata e tornata in piena forma fisica (soprattutto sotto le lenzuola), diventa a sua volta una valente psichiatra, pronta a rinnegare il suo 'salvatore' Jung e ad abbracciare le teorie freudiane nella lunga disputa intellettuale che coinvolse i due studiosi. La 'conversione' sarà comunque di breve durata, poichè la donna verrà prima incarcerata e poi fucilata dai nazisti durante la prima occupazione dell'Unione Sovietica. Tuttavia ella avrà un ruolo fondamentale nell'elaborazione dei principi basilari della psicanalisi: il film ci mette infatti a conoscenza (ma è una teoria del tutto 'cronenberghiana') che fu proprio la frequentazione con la Spielrein ad inculcare a Freud la convinzione che ogni comportamento umano fosse da ricondurre principalmente alla propria sfera sessuale, teoria ben più 'estrema' di quella junghiana, che prevedeva invece la possibilità anche di altri 'fattori esterni' quali l'ambiente circostante, la sfera sociale e affettiva del soggetto...
Ma, aldilà di questo, a noi interessa parlare del film. Che, va detto, ha tutte le caratteristiche per essere il 'perfetto' candidato al Leone d'Oro (vogliamo scommettere?), vale a dire un'ottima confezione, un soggetto non banale, una sceneggiatura ben oliata (scritta dal premio Oscar Christopher Hanpton), un trio di attori affermati e affiatati al punto giusto (anche se onestamente non ai massimi livelli, in particolare Keira Knightley, della quale vorremmo dire tutto il bene possibile ma che qui è abbastanza in ombra, sacrificata in un'interpretazione nevrotica e smorfiosetta, che la rende abbastanza insopportabile... dignitose invece le performance di Viggo Mortensen e Michael Fassbender).
Tuttavia però ci preme sottolineare che A dangerous method, pur riconoscendone il valore e l'ottima fattura, non ci ha entusiasmato come altri film passati di Cronenberg, e non ci ha nemmeno fatto gridare al capolavoro come è accaduto invece per altri titoli fin qui visti al Lido (vedi Clooney e Polanski, tanto per fare degli esempi). La pellicola è troppo 'formale', forse fin troppo curata e maniacale nei dettagli per scaldare davvero i cuori degli spettatori. Si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un bel compito in classe, stilisticamente perfetto ma fatto con la mente anzichè col cuore.
Ma forse, trattandosi di Freud, non poteva che essere così...
VOTO: ***
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COMMENTI (1)
Inviato il 10 settembre a 14:03
Per documentarsi sulla relazione tra Jung e Sabina Spielrein, prima di andare a vedere al cinema il film di Cronenberg "A dangerous method", vi invito a leggere il libro VITE SOFFIATE. I VINTI DELLA PSICOANALISI (www.librovitesoffiate.tk ), un giallo psicologico in cui si indaga su una serie di misteriosi suicidi, tutti psicoanalisti che avevano frequentato lo stesso Ospedale di Zurigo in cui fu ricoverata Sabina. Non svelo il finale del libro..., che, pur di fiction, ha una solida base di documentazione storica.