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A dio quel che è di dio. To the wonder di Terrence Malick

Creato il 17 luglio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

To-The-Wonder

In totale continuità con Tree of life (2011) Malick prosegue il suo percorso di ricerca religiosa, intima e sofferta. Se il tema centrale del precedente lavoro poteva essere una sorta di filogenesi dell’uomo, in quest’ultimo l’attenzione si sposta sull’ontogenesi dell’amore. In entrambe le ricerche la presenza di dio è centrale e imprescindibile, divenendo la chiave di lettura generale. Il dio di Malick non è un dio voltairiano di cui si asseveri l’esistenza ma ne sia impossibile la conoscenza. Il dio di Malick è il dio cristiano e cattolico. Per quanto possa essere difficile entrare in relazione con dio, per quanti dubbi possano esistere sul reale intervento di dio nella storia e nella vita dell’uomo, è sempre in relazione alla sua esistenza e alla sua chiesa che si definiscono i parametri morali ed etici a cui l’uomo deve improntare i propri comportamenti se vuole giungere alla “meraviglia”, alla scoperta della traccia di dio nel mondo. La presenza di dio si può rinvenire nell’incanto della natura e nell’esperienza dell’amore umano. Nel racconto visuale della natura Malick riesce a raggiungere una maturità di sguardo che sa coniugare semplicità e bellezza, due caratteristiche che ben si attagliano al suo dio ma che restano compatibili anche con una visione laica del mondo. E se per i credenti questo testimonierà dell’esistenza di dio, per tutti gli altri sarà, comunque, un invito e un motivo ad onorare la vita. E’, invece, sul versante morale della costruzione dell’amore che il film di Malick mostra tutti i suoi limiti derivanti da un approccio confessionale. Prima di procedere ad analizzare questo aspetto è bene chiarire una quesione che riguarda la natura dei personaggi. Questi non si pongono come istanze individuali che si dispongono a narrare una storia, una tra le tante. Essi sono puri archetipi, lui è l’Uomo, lei la Donna e il tema di cui si discute è l’Amore. Di loro sappiamo pochissimo, perché nulla ci serve di sapere su di loro, essendo rappresentanti di idee generali. Anche nella recitazione viene riaffermata questa impostazione, le loro parole spesso non sono colte dalle loro labbra, sono quasi off-screen e questo lavora nel senso della smaterializzazione degli individui, elevandoli al rango di categorie concettuali. Del resto i loro stessi corpi lo testimoniano, nella loro bellezza pura, oggettiva, quasi distante da ogni realtà incidentale. Il primo punto di caduta problematico e non ricevibile del film è l’assunzione del matrimonio e, per di più, religioso come necessità per la realizzazione piena del sentimento dell’amore. Si può seguire la proposta di ragionamento di Malick fino al punto in cui si afferma che la dimensione dell’impegno e della scelta è quella nella quale si costruisce la morale individuale ma quando si la declina su un piano confessionale si è oggettivamente autoreclusi in un recinto invalicabile al pensiero laico. Il secondo punto di caduta è ancora più retrivo del primo e concerne l’attribuzione di un significato ontologico all’amore fisico. Nella fattispecie Malick lo attribuisce al tradimento fisico commesso dalla donna e che interrompe senza possibilità di recupero quella che era una reale esperienza d’amore. E si badi bene che in virtù della premessa fatta, ovvero che si tratta di una narrazione meramente archetipale, non si racconta della storia di un amore che si interrompe per un tradimento, il che sarebbe pienamente plausibile, ma si afferma che il tradimento fisico, in qualunque modalità e per qualunque motivazione, interrompe da sé, senza possibilità di recupero, ogni legame d’amore. Questa concezione appartiene ad un passato del tutto esaurito e, se riaccolto, aprirebbe la porta ad ulteriori sovraccarichi morali della sessualità di cui non si avverte alcun bisogno. Non che, in merito alla sessualità, l’attuale pensiero prevalente, dominato dalla mercificazione e dalla desemantizzazione, non mostri tutti i propri limiti ma è al futuro e alla ricerca di una nuova e più matura “etologia” laica che bisogna guardare e non certo voltarsi nostalgicamente indietro ai desueti e opprimenti pensieri della religione.


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