A fuoco nella mente

Da Parolesemplici

14 gen 2011 1 commento

by 1mzungu in Chiacchere a Mezzodì Tag:Africa, frontiere, fuoco, medici, mente, mzungu, parole, semplici

Quando la vigilia fu alle porte e fece capolino nella mia mente quella strana ed improvvisa concezione che entro poche ore avrei concretizzato il mio percorso di preparazione, durato 5 anni, non provai ansia, né paura. Non provai quella strana angoscia che si sente prima di sostenere un esame orale, quando all’improvviso ti rendi conto che non hai più tempo per rimediare al fatto che avresti potuto studiare di più.

Non mi sentivo pronto, perché effettivamente avrei potuto studiare un po’ di più, ma credevo di conoscermi abbastanza da sapere che il modo migliore per apprendere era vivere sul campo le esperienze, in modo che si cicatrizzassero nella mente, per non scordarle mai. La memoria non era mai stato il mio punto forte ed era un deficit che nella vita mi aveva condizionato parecchio. Avevo una difficoltà incredibile a memorizzare nomi o numeri, di qualsiasi genere; mi ci volevano ore e ore per imprimere nella mente le nozioni scolastiche. Non è che non mi applicassi, è che mi dovevo applicare davvero troppo per potercela fare. Mi avevano detto che il modo migliore per allenare la mente era tenerla sempre all’opera e così io leggevo moltissimo, convito che questo avrebbe risolto il problema; ma il risultato si è rivelato diverso dall’atteso. Ho sviluppato la capacità di scrivere facilmente e in modo scorrevole; ho imparato a creare un testo ed una storia e ho perfezionato l’uso della lingua italiana. So usare decentemente i tempi verbali, il che in Italia diventa quanto mai raro, e il risultato di tutto questo è stato che la materia in cui ero più portato era proprio l’italiano. Ricordo che una volta ero stato a casa diversi giorni perché avevo avuto un febbrone da cavallo, e quando rientrai a scuola scoprii che entro pochi minuti ci sarebbe stato un compito in classe sull’analisi grammaticale, l’incubo di molti. L’insegnante mi disse che, vista la mia lunga assenza che mi aveva fatto perdere parte del programma, mi avrebbe dato un compito semplificato, ma si sbagliò ad assegnare i fogli e mi diede quello difficile, come a tutti gli altri. Quella è stata una delle poche volte nella mia carriera scolastica in cui sono stato il migliore in un compito in classe.

Di contro ero terribilmente imbranato in quasi tutto il resto; matematica in particolare e a seguire le lingue. In tutto quello in cui c’è da memorizzare io ho difficoltà. Ma se una cosa la vivo di persona; la vedo con i miei occhi, allora la imprimo nella mente e rimane lì per parecchio tempo.

E così mi sentivo pronto, perché sapevo che nei giorni seguenti avrei appreso centinaia o migliaia di nuove informazioni. Il circuito ed il processo di una vaccinazione li conoscevo, perché avevo preso due volte gli appunti durante i vari breefing, li avevo riletti altre due volte e avevo anche guardato un filmato sull’allestimento e il controllo di un sito di vaccinazione. Inoltre, un particolare tutto congolese, è che le persone hanno un problema simile al mio: hanno bisogno di sentirsi ripetere almeno tre volte un concetto prima di comprenderlo esattamente, per cui abbiamo fatto 3 riunioni in cui il capo, che è un congolese saggio, ha ripetuto le stesse nozioni per ore e ore. Questo particolare dei congolesi mi ha sempre fatto arrabbiare tantissimo, ma mi ha anche fatto una tenerezza incredibile. Una volta per esempio spiegai esattamente quanto segue a due congolesi, di cui uno autista di moto e l’altro infermiere:

-   Ok ragazzi, siamo in tre e abbiamo una solo motocicletta; facciamo così: voi due andate fino al sito di vaccinazione insieme, poi tu Kabulo rimani lì e controlli come stanno i due bambini, mentre Alex torna indietro e mi viene a prendere. Cosi intanto io e lui, strada facendo, passiamo a prendere il Plampy nut, ok?

Bene, i due sono partiti e dopo venti minuti li vedo ritornare tutti e due indietro. Kabulo scende dalla moto e mi dice:

.

E io

mi risponde lui tutto mortificato

…me lo sarei mangiato, ma allo stesso tempo mi ha fatto una tenerezza incredibile perché lui era convinto di aver lavorato con impegno; e i congolesi, quando sbagliano, sanno chiedere perdono con tutto il viso.

Comunque per tornare al discorso, ripeto che mi sentivo pronto. Mi mancavano soltanto i dettagli, quelli che impari sul terreno e che col tempo si accumulano e diventano esperienza, ed ero pronto ad assimilarne il più possibile per dare il meglio alla seconda occasione.

Quella mattina, quando la sveglia suonò, mi svegliai rilassato e riposato, nonostante fossero le quattro del mattino. Raggiunsi gli altri e, dopo una colazione sbrigativa con pane e margarina, partimmo in moto per Muhona, la nostra area. Tutte le altre equipe si avviarono a loro volta, per incontrare il resto del personale sul luogo di ritrovo.

Muhona distava soltanto sei chilometri dalla nostra base, ma la strada era sterrata e con fondo sabbioso, il che rendeva molto difficile percorrere quei sei chilometri in tempi ragionevoli per una mente occidentalmente plagiata.

Il primo giorno di vaccinazione era una domenica e, come tocco da maestro nella sensibilizzazione di massa, avevamo chiesto di annunciare la vaccinazione in chiesa, al termine della messa. Ci aspettavamo migliaia di bambini. In base ad una stima sul totale della popolazione, contavamo che i bambini di età tra i sei mesi e i quindici anni, fossero all’incirca dodici mila. Per cui, nonostante fossero soltanto le 5 del mattino, ci affrettammo a ripartire tutti gli ice pack nelle scatole isotermie, insieme ai vaccini e ai diluenti. Cominciammo con sessanta flaconi, che corrispondevano a seicento dosi, in ognuno dei cinque siti. Poi ripartimmo, ognuno nella sua direzione. Il mio primo sito era piazzato sotto un albero, ed avevamo piantato dei pali di legno che sostenevano la rete di plastica, in modo da creare un spazio confinato, con un ingresso ed un’uscita alle due estremità.

Un sito di vaccinazione ha delle regole e delle figure precise che svolgono un dato lavoro. In base all’esperienza e in una logica di risparmio, Medici Senza Frontiere ha determinato che il numero ottimale di lavoratori in un sito è di dieci persone e il circuito deve essere posizionato in modo esatto, per rendere il flusso scorrevole e vaccinare il maggior numero possibile di bambini al giorno.

E proprio nel rispetto di queste norme il nostro sito era composto da una persona all’ingresso, l’Agent de l’ordre, che preferibilmente doveva essere qualcuno di conosciuto e rispettato nella comunità, perché aveva il compito delicato di tenere a bada la massa che nei primi giorni si sarebbe riversata all’ingresso.

A seguire il circuito prevedeva due Enregistreur, incaricati di compilare la carta di vaccinazione con i dati del bambino. In seguito, se il bambino era in una fascia di età tra i sei mesi e i cinque anni, veniva indirizzato verso un terzo tavolo, dove veniva controllata la presenza di edemi, indice di malnutrizione avanzata, attraverso una leggera pressione dei pollici sul dorso dei piedi. Se il bambino presentava edemi veniva inviato al centro di presa in carico per casi di rosolia e malnutrizione; altrimenti si procedeva con il bracciale detto Muac, che misurava la circonferenza del braccio sinistro. Anche in questo caso, una circonferenza inferiore a 114 mm era indice di malnutrizione avanzata e, se erano presenti evidenti segni di complicazioni, venia inviato anche lui al centro per la presa in carico, altrimenti si consegnavano alla mamma dei sacchettini di Plampy nut che il bambino avrebbe dovuto assumere nella settimana successiva. Infine si dava una compressa di vitamina A ed il bambino veniva inviato al tavolo della vaccinazione. Qui erano presenti tre persone, di cui due preparatori e un vaccinatore. All’ultimo tavolo, un pointeur spuntava un pallino su una scheda, a seconda dell’età del bambino. Questo serviva a tenere il conto dei bambini vaccinati e a fine giornata si verificava che il numero di bambini corrispondesse a quello dei flaconi di vaccino utilizzati. All’uscita un secondo Agent de l’ordre si assicurava che nessuno rientrasse nel sito, o rimanesse dentro, creando confusione.

Alle sette del mattino la gente iniziò ad accalcarsi. La coda era lunghissima e la calca spingeva e cercava in tutti i modi di passare avanti, per paura di non ricevere il vaccino. Spesso le mamme entravano con i loro figli e poi cominciavano a prendere i bambini degli altri, creando un caos incredibile. Altri bambini arrivavano da soli e non avevano la più pallida idea della loro età. Fratellini più grandi accompagnavano i più piccoli, coccolandoli e facendogli coraggio, nonostante anche loro avessero paura della puntura. Al momento della vaccinazione qualcuno non faceva una piega, nonostante fosse davvero piccolo, altri invece piangevano, gridavano e si dimenavano. Per le mamme era difficile tenerli fermi perché nel frattempo dovevano badare che gli altri tre o quattro figli non scappassero a destra e sinistra, così, tra le altre cose, io mi occupavo di immobilizzare i più piccoli, che erano terrorizzati e affascinati allo stesso tempo dal fatto che un bianco li toccasse. L’infermiera che praticava l’iniezione spesso diceva ai piccoli di stare fermi, altrimenti il muzungu li avrebbe mangiati. Interessante questa cosa: noi raccontiamo ai bambini delle storie terribili sull’uomo nero e loro giustamente fanno la setta cosa con l’uomo bianco…

Il secondo sito sotto la mia supervisione era in una scuola e questo era vantaggioso per il fatto che non lavoravamo sotto il sole, ma allo stesso tempo la porta di ingresso era molto grande e la gente si accalcava senza possibilità di far loro comprendere che sarebbero stati vaccinati tutti quanti. Il guardiano era un uomo anziano e non aveva la forza per contenere la calca, forse non aveva nemmeno la volontà, o forse semplicemente non corrispondeva esattamente a quella figura che la comunità rispettava e ascoltava.

Il risultato era preoccupante e pericoloso. Ho cercato di fare un po’ di ordine approfittando dell’autorità che viene attribuita a chi ha la pelle bianca, ma ogni volta che mi allontanavo dal sito il problema si riproponeva. I ragazzini prendevano la situazione come un gioco, spintonandosi e facendo a gara a chi arrivava prima, ma nella massa c’erano anche mamme con neonati o bambini di piccoli, che venivano colpiti, strattonati e calpestati. Cercavo di far passare prima i più piccoli, che spesso uscivano fuori con labbra spaccate e nasi sanguinanti. La situazione era tesa e gli agenti dell’ordine (un ragazzino si era affiancato a quello originario) cominciarono ad utilizzare la violenza, con bastoni spinati e cinture. A metà della prima giornata ho preso una decisione drastica: ho fatto chiudere il sito. Quando la gente ha capito si è arrabbiata e spaventata e lo stesso logista che mi affiancava non era del tutto d’accordo con me, ma la decisione era presa e, in quattro, abbiamo fatto arretrare tutti fino a chiudere le porte. Mbaki, il logista, mi ha detto che così perdevamo tempo e non avremmo vaccinato abbastanza bambini; <me ne frego dei numeri Mbaki!> gli risposi duramente <qui qualcuno rischia di farsi male sul serio. Non me ne frega niente di vaccinare millecinquecento bambini in un giorno se il risultato è che tornano a casa con lividi e nasi spaccati>. Quindi sono uscito dal retro e, insieme a qualcuno che traducesse, sono tornato verso la folla ed ho spiegato che fino a quando non si fossero calmati e non avessero formato una fila ordinata, non avremmo ripreso il lavoro. La rete era sfondata in diversi punti e ormai non svolgeva più la sua funzione, per cui l’unica soluzione che ho trovato è stata quella del ricatto. Inoltre ho avvisato i guardiani che, se avessero usato ancora bastoni e cinghie, li avrei sospesi dal lavoro, indipendentemente dal fatto che fossero autorità.

Il risultato è stato soddisfacente, così il lavoro è proseguito in modo fluido e più ordinato.

Verso le 15.00 il personale iniziò a lamentarsi di avere fame e mi chiedeva di acquistare una bevanda e qualche biscotto. Al di là del fatto che non avevo denaro per sfamare venti persone, mi faceva imbestialire il fatto che tutti mi chiedessero sfacciatamente di mantenerli e che lo dessero addirittura per scontato, quando alla formazione avevamo specificato che ognuno avrebbe dovuto portarsi qualcosa da mangiare e da bere durante la giornata, perché non ci sarebbe stata alcuna pausa. Col tempo ho compreso che questo è un aspetto impossibile da sradicare dalle loro menti; un congolese tenterà sempre di scroccare qualcosa ad un bianco, soprattutto se giovane. A volte lo chiedono sorridendo sfacciatamente, altre volte sono più seri, ma in ogni caso è inevitabile. Inizialmente mi scocciavo moltissimo e rispondevo con tono irritato, ma poi mi sono imposto di cercare di mantenere la calma e esprimere lo stesso concetto con il sorriso sulle labbra, così da mantenere un clima cordiale. Il Congo mi ha insegnato a dire di no e in effetti di questo devo ringraziare.

Un’altra delle mie funzioni era quella di partire verso il sito di stoccaggio quando gli ice pack o i vaccini scarseggiavano, per garantire il rifornimento; così saltavo sulla motocicletta e, insieme all’autista, partivamo, tra i saluti dei bambini che gridavano Muzungu Jambo con un tono di estrema urgenza, come se ricevere un mio saluto fosse di vitale importanza. Così con una mano reggevo il contenitore per i vaccini e con l’altra cercavo di salutare tutti ed allo stesso di mantenere l’equilibrio sulla motocicletta. L’autista rideva moltissimo e ogni volta mi ripeteva che i bambini sembravano amarmi moltissimo.

Quasi a fine giornata si verificò un altro problema che non avevo previsto; il guardiano all’uscita faceva entrare gente dal retro. Questo era molto grave e rischiava di compromettere il lavoro, perché il bambino arrivava alla postazione della vaccinazione prima di ricevere la carta coi dati e c’era il rischio che si facesse vaccinare e se ne andasse senza essere registrato, senza contare che era ingiusto nei confronti di chi faceva la fila da ore. Così redarguì pesantemente il guardiano, ma dopo pochi minuti si verificò lo stesso problema con un padre e i suoi bambini, solo che questa volta era ancora più grave, perché il vaccinatore, che era anche il capo dell’equipe, era d’accordo con lui. Così andai dal vaccinatore e gli chiesi spiegazioni e lui mi spiegò che il signore in questione era una persona importante e non era opportuno che facesse la fila in mezzo agli altri. Allora, cercando di nascondere la rabbia, mi sono rivolto al signore, che era un uomo ben vestito, secondo gli imbarazzanti canoni di eleganza congolese, con due bambini intorno ai sei anni.

gli dissi stringendogli la mano, <è un piacere fare la sua conoscenza. Oggi abbiamo riscontrato qualche problema nel mantenere l’ordine tra la folla; sono certo che le persone la fuori saranno felici di vedere che un individuo importante come lei fa la coda come tutti gli altri, con ordine e pazienza. La ringrazio molto e la prego di uscire da dove è entrato e fare il giro. A più tardi>. Quando si è allontanato mi sono rivolto al vaccinatore e gli ho detto che se lo avesse fatto una seconda volta, indipendentemente dall’influenza della persona che arrivava, lo avrei spedito a casa, anche a costo di vaccinare personalmente il resto dei bambini per i prossimi quattro giorni.

Alle 17.00 la giornata lavorativa terminava, così dieci minuti prima contai le siringhe di vaccino già pronte e faci preparare le dosi necessarie a terminare i flaconi iniziati. Quindi contai il numero esatto di bambini e li feci entrare; ma nel frattempo il guardiano all’uscita fece entrare altre persone e il risultato fu che preparammo le schede di registrazione per i piccoli che avevo fatto entrare, ma nel frattempo erano già stati vaccinati quelli entrati dal retro. Quando ho visto quello che stava accadendo ho perso il controllo. Dopo una giornata sotto al caldo, nella difficoltà di rivestire un ruolo completamente nuovo per me e di prendere decisioni importanti in breve tempo, questa goccia ha fatto traboccare il vaso della mia pazienza e ho dato su tutte le furie. Fortunatamente imprecavo in italiano, per cui nessuno ha compreso quello che dicevo e il cielo non mi ha fulminato, segno che è vuoto o che sono stato perdonato, o rinviato a giudizio futuro…

Nonostante tutto, al termine della prima giornata le cifre erano rassicuranti. Più di mille bambini e ragazzi per sito avevano ricevuto il vaccino. Le stime e le statistiche riscontrano che un sito che lavora bene vaccina fino a mille persone al giorno, per cui noi eravamo pienamente nella curva gaussiana.

La sera mi sono scusato con Mbaki per avergli risposto in modo secco, ma lui mi ha rassicurato e mi ha dato una pacca sulla spalla dicendomi di aver preso una decisione giusta e coraggiosa. Per avvallare la questione gli ho offerto una birra, e mentre sorseggiavo la mia non potevo fare a meno di avvertire una leggerezza nel petto che non sentivo da molto tempo. Finalmente avevo dato un senso alla mia missione in Congo; finalmente avevo un risultato soddisfacente, traducibile in duemilatrecento bambini salvati (cifre relative solamente ai miei due siti), anche grazie al mio lavoro. Ricordo di aver sollevato lo sguardo verso il cielo; la luna era un sottilissimo spicchio tra le stelle, incredibilmente simile al sorriso dello Stregatto. L’ho fatto notare a Mbaki, che non conosceva lo Stregatto, ma sapeva riconoscere un sorriso e così abbiamo brindato al nostro lavoro, e al celo che sembrava soddisfatto quanto noi.


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