Appoggiati alle travi del travaglio, la macchina lignea che nei centri rurali serviva per ferrare i quadrupedi, gli abitanti di Gavelli paese della montagna umbra, raccontano la Storia, mentre attendono l’arrivo delle autorità e dei rappresentanti dell’Associazione nazionale partigiani che in giornata scopriranno una lapide commemorativa.
Sono passati settant’anni dall’autunno del 1943 e dalle nefandezze della seconda guerra mondiale, ma Adelmo, Santino, Ovidio, Valerio e Probo e Properzio venuti da Roma, ricordano nitidamente protagonisti e fatti della Resistenza antinazista in Valnerina, che li toccarono da vicino.
Gavelli, frazione del comune di Sant’Anatolia di Narco (PG) alle falde del monte Coscerno che un tempo era raggiungibile dal fondovalle solo attraverso una mulattiera, nel settembre del ’43 fu la base operativa della formazione partigiana capitanata da Ernesto Melis.
Il Melis, ex ufficiale tornato a Spoleto dopo l’armistizio dell’otto settembre e figlio del direttore del carcere locale, insieme ad altri patrioti formò una banda di circa cento uomini diventando un personaggio di spicco dei movimenti umbri. Era monarchico, anticomunista, dotato di grande carisma.
(Il presidente dell'Anpi Spoleto Giampaolo Loreti, unico superstite della banda Melis)
“La banda Melis è stata insignita di cinque medaglie d’oro e Croci di guerra e altri riconoscimenti di valore” - ricorda fiero Giampaolo Loreti, unico superstite di quella formazione e oggi presidente dell’Anpi spoletina, anch’egli decorato personalmente con la Croce di guerra al valor militare.
“Tra il 23 e il 26 settembre del 1943 – scrive Ubaldo Santi nel suo libro La Resistenza in Valnerina - gli uomini di Melis già accampati a Vallocchia di Spoleto raggiungono Gavelli insieme a sei ex prigionieri di guerra britannici. La truppa è alloggiata nella canonica, nell’edificio della scuola elementare, in case private e nelle capanne. Vengono formate le squadre e distribuite le armi sottratte nelle caserme di Spoleto e trasportate fino a sant’Anatolia attraverso la ferrovia Spoleto-Norcia con l’aiuto di alcuni ferrovieri e, infine, a Gavelli a dorso di mulo.”
Sentinelle della banda si trovavano dislocate ovunque nei punti più strategici, il paese era totalmente in mano ai Partigiani.
“La montagna era piena di gente, noi ci trovavamo tra Le Pratarelle e la Fonte del Ladrone, quella vicina al confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno delle due Sicilie, dove si rifugiavano i briganti ” - racconta Probo Nervo che in quegli anni viveva con la famiglia in una capanna. Parecchi figli, il padre Nicolò svolgeva il mestiere di taglialegna e carbonaio.
(A destra il ribelle slavo detto Toso)
Ricorda quando dalla banda Melis si staccarono i seguaci di Toso, al secolo Svetozar Laković. il partigiano slavo che insieme ai sui compagni era evaso dal carcere di Spoleto e che aveva raggiunto Gavelli. Le divergenze sulle ideologie e sull’impostazione della lotta (uno definito più attendista, l’altro più aggressivo) dopo qualche settimana provocarono un’aspra divisione tra Toso e Melis tanto che lo slavo spostò una propria base a Mucciafora, altro paese del monte Coscerno che a fine novembre fu scenario di una strage.
“Mio padre incontrò Toso una mattina mentre stava correndo dalla levatrice per soccorrere mamma che aveva avuto una brutta emorragia – continua Probo Nervo. Ad avere cura di lei era rimasto don Silvestro un prete bosniaco scappato da Terni che aveva cercato rifugio nella nostra capanna. Toso puntò la mitragliatrice su papà ma poi si sedettero, fumarono una sigaretta e cominciarono a parlare, ognuno conoscendo un po’ la lingua dell’altro”.
Il carbonaio fu reclutato dalla banda e la famiglia mangiò polenta senza sale per tutto l’inverno.
Giornate rammentate a una a una dagli abitanti del paese che intrecciano i racconti della guerra alla floridezza perduta: negli anni ‘40 Gavelli contava ancora due generi alimentari, due macelli, calzolai, il falegname, la canonica, la scuola. Poi lo spopolamento progressivo fino ad arrivare agli attuali sette residenti baluardi esauribili di una nuova Resistenza, quella contro l’abbandono dei piccoli insediamenti.
Due generi alimentari, due macelli, calzolai, il falegname, la canonica, la scuola.
La scuola. "Faceva parte della banda Melis un ragazzo, un inserviente, che fu accusato di tradimento - racconta Santino a quei tempi bambino - perché passava di nascosto i documenti con i piani ai militari tedeschi. Sospettato fu scoperto, processato dentro la casa del sottufficiale De Angelis e poi fucilato. Lo esposero nella scuola cosicché lo vedemmo tutti, poi al travaglio e infine lo seppellirono dentro il Cimitero del paese. Non si scherzava, in ogni momento la vita e la morte si sfidavano.”
Anche se spaventata la gente di Gavelli partecipava alla Resistenza. La solidarietà non era solo conseguenza dell’intimazione o della convenienza, era un valore comune.
Quando i Partigiani portarono in paese un prigioniero tedesco ferito, le donne lo curarono fino alla guarigione e quando Toso trasferì il soldato a Mucciafora, quello grato raccomandò ai suoi compagni d’armi di risparmiare il villaggio dagli attacchi.
La lapide da poco collocata all’ingresso del paese e apposta dall’ANPI di Spoleto ricorda quei giorni, ferma il passo degli abitanti, di chi torna in estate e dei turisti che visitano la chiesa di san Michele Arcangelo per vedere il bell’affresco cinquecentesco di Giovanni Lo Spagna.
La Storia parla dalle lastre marmoree, dai racconti orali, dai libri, dai tanti strumenti oggi disponibili.
Bisogna conoscerla, ricercarla sempre per averne rispetto, timore e, in ogni caso, insegnamento.