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A guardar dalla finestra (una storia vera).

Da Suddegenere
di suddegenere

Stamattina sono andata a trovare mia nonna che, come quasi tutte le donne della sua generazione, ha passato la vita a fare la casalinga, e si è occupata dei figli e in buona parte dei nipoti, quindi anche di me. Da ragazza mia nonna è stata fortunata, perchè, avendo una zia che viveva in città ed era disponibile ad ospitarla, riusci’ a convincere i genitori che un diploma di magistrale sarebbe potuto essere sempre utile. Avrebbe potuto fare l’insegnante, ma mio nonno non gradiva l’idea, e a lei sembro’ normale non insistere.

Ci siamo affacciate dal balcone, come al solito quando il tempo lo permette. Si vede un bel tratto di costa e quel panorama mi ha sempre riempito il cuore.  Ad un certo punto la nonna mi dice :

A guardar dalla finestra (una storia vera).

Mamma mia! La vedi quella signora? Chi l’avrebbe mai detto!Quella ben vestita, che non sembra quasi piu’ un essere umano tant’è rannicchiata su se stessa”.

Al che sorrido, visto che  nonna ha ottant’anni suonati e proprio dritta non sta.

Ma, subito dopo, la mia espressione cambia.

La nonna mi racconta che quella donna è una sua compagna di scuola. L’ha incontrata qualche giorno fa per strada, e si sono fermate per salutarsi. Aveva dei grossi lividi sulle braccia.

Quella donna le ha raccontato che un parente l’aveva portata in ospedale, per le ecchimosi. In ospedale non avevano creduto per un solo istante che fosse caduta dalle scale, l’avevano messa alle strette e lei si era confessata, nel senso proprio del termine.

Aveva raccontato che era stato suo marito, come da cinquant’anni a questa parte accadeva sovente. Che ha sempre taciuto per il terrore che quell’uomo, con un titolo di studi ed un lavoro pagato dallo stato, potesse far del male ai suoi figli, i quali appena cresciuti sono scappati. Che se l’è sempre cavata da sola, anche quando ha dovuto portare fuori dalla Calabria un figlio che si era ammalato. Che per una vita i vicini di casa hanno sentito tutto, ma non hanno mai fatto niente, mentre lei sperava e pregava che qualcuno si decidesse a chiamare i carabinieri.

Le ha raccontato che si è messa a scrivere quella che è stata la sua vita per cinquant’anni, perchè si è rivolta ad un avvocato divorzista e vuole essere sicura che nulla venga dimenticato.

Poi si è messa a piangere, e mia nonna l’ha abbracciata.

Immaginate due signore di ottant’anni, in mezzo al traffico cittadino, con la busta della spesa che si abbracciano e piangono.

Immaginate se tutto cio’ fosse avvenuto cinquant’anni prima. Io le vedo….giovani, con i capelli neri. E dritte.

Non vedo altra via d’uscita per noi se non per mezzo di incontri come questo: una donna che parla di fronte a un’altra che guarda. Quella che parla sta raccontando l’altra, i suoi occhi brucianti, la sua memoria nera, oppure descrive la notte usando le parole come torce, come candele la cui cera si scioglie troppo in fretta? Colei che guarda, a forza di ascoltare, di ascoltare e ricordare, finisce col vedere se stessa per mezzo del proprio sguardo, finalmente senza veli? “(Assia Djebar)

n.b. sempre a proposito di  violenza nascosta .

(foto da lunpar_lala85)


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