dal nostro inviato
Gaetano Vallini«Viva il Papa»: il grido, decisamente inusuale in una città come Istanbul, arriva smorzato sulla strada principale, ma è forte abbastanza perché Francesco lo senta mentre si avvicina al varco sul prospetto di un palazzo. Dietro l’edificio, affacciata su un piccolo cortile, nascosta alla vista c’è la cattedrale dello Spirito Santo. Ed è qui che sabato pomeriggio si radunano per incontrare il Vescovo di Roma i rappresentanti delle comunità cattoliche locali che vivono in Turchia in situazioni non sempre semplici. E per celebrare con lui l’Eucaristia. È il “piccolo gregge”, diviso tra i riti latino, armeno, siriaco e caldeo, dalle origini antichissime risalenti all’età degli apostoli — è la terra in cui è nato Paolo di Tarso, che vi fondò alcune comunità come quelle di Efeso e Antiochia — oggi così raccontato dai numeri: appena cinquantatremila anime, sei vescovi, cinquantotto sacerdoti (di cui solo sei diocesani), due diaconi permanenti, sette religiosi non sacerdoti, cinquantaquattro religiose professe, due membri laici di istituti secolari, sette missionari laici e sessantotto catechisti, che operano in sette circoscrizioni ecclesiastiche, con cinquantaquattro parrocchie e tredici centri pastorali. Vi fanno capo tredici scuole materne e primarie, dieci medie e superiori, tre ospedali, due ambulatori, cinque case per l’assistenza di anziani e invalidi, sei centri speciali di educazione o rieducazione. Una presenza che anche in tempi recenti ha conosciuto il martirio, con l’assassinio di don Andrea Santoro a Trebisonda il 5 febbraio 2005 e del vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ucciso a Iskenderun dal suo autista il 3 giugno 2010. Il Pontefice li ha voluti incontrare, attraverso i loro rappresentanti, per confermarli nella fede e incoraggiarli nella loro preziosa testimonianza.Francesco entra dal corridoio di sinistra nel piccolo cortile dell’edificio di culto, dove lo attendono un centinaio di fedeli, tra cui tantissimi giovani, che lo accolgono gridando il suo nome. E lui non si sottrae all’abbraccio. Prima di entrare in chiesa, sotto il grande monumento a Benedetto xv, il Papa che aveva tuonato contro “l’inutile strage” della prima guerra mondiale, Francesco libera due colombe bianche, simbolo di pace: una pace tanto agognata nella regione mediorientale. All’ingresso della cattedrale, dove ad attenderlo ci sono oltre seicento persone, è accolto dal vicario apostolico di Istanbul, il vescovo Louis Pelâtre, e bacia il crocifisso portogli dal parroco, il salesiano don Nicola Masedu.La messa ha un carattere inter-rituale ed è concelebrata dagli ordinari della Turchia, da una cinquantina di sacerdoti, oltre ai cardinali, ai presuli e ai prelati del seguito, e vi partecipano religiosi e religiose che operano nella regione, nonché gruppi di fedeli di diverse comunità parrocchiali. È presente anche il Patriarca ecumenico, Bartolomeo, che è accolto da Francesco all’ingresso della cattedrale e da un caloroso applauso dei fedeli. Al rito assistono anche il patriarca siro cattolico Ignazio iii Younan, il vicario patriarcale armeno apostolico di Istanbul Aram Ateshian, il metropolita siro-ortodosso di Istanbul Filuksinos Yusuf Çetin ed esponenti di alcune confessioni evangeliche.Il carattere inter-rituale è evidenziato in diversi momenti della celebrazione. Per il formulario della messa, che è quello dello Spirito Santo, oltre al latino vengono usate infatti le lingue dei vari riti: l’armeno per il canto d’ingresso e il “sanctus”, il turco per il “gloria” e l’“Agnus Dei”, l’aramaico per il salmo nella forma caldea, il siriaco-turco per il Vangelo cantato nella forma siriaca. Nelle intenzioni dei fedeli — pronunciate in francese, italiano, inglese, turco, arabo e spagnolo — si è pregato, tra l’altro, per le Chiese d’oriente e di occidente, perché «mantengano viva la fede dei Padri e si spendano per la pace e la giustizia tra i popoli»; per i pastori di questa terra, perché «in ascolto della voce dello Spirito di verità, promuovano, con le parole e le opere, la crescita e lo sviluppo umano e cristiano dei fedeli loro affidati». Si è pregato anche per quanti soffrono a causa delle malattie, della povertà e dell’ingiustizia, per gli operatori di pace e «per i profughi costretti a fuggire da situazioni di grave pericolo, affinché possano trovare un posto sicuro e una speranza di futuro». Il pensiero è andato alle centinaia di migliaia di persone, tra le quali moltissimi cristiani, che non lontano da qui subiscono violenze e soprusi da parte del cosiddetto Stato islamico. Nell’omelia il Papa chiede di essere docili allo spirito, per superare incomprensioni, divisioni, controversie, e per essere segno credibile di unità e di pace. Nel suo saluto monsignor Pelâtre lo ringrazia per aver riservato questo tempo di preghiera e di incontro alla comunità cattolica, sottolineando che molti altri avrebbero voluto essere presenti. Qui, aggiunge, è radunata la ricca diversità di una Chiesa che si sforza di operare nella carità e nell’unità. E che da questo incontro — conclusosi così come era iniziato tra gli applausi e l’entusiasmo — riprende il suo cammino in un contesto particolare come quello turco, mettendosi anche al servizio del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo. Significativa a tal proposito la benedizione comune impartita ai presenti dal Papa e dal Patriarca Bartolomeo.(©L'Osservatore Romano – 1-2 dicembre 2014)Magazine Cinema
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