Doppiamente stranieri. Twice A Stranger. How Mass Expulsion Forged Modern Greece and Turkey (Granta Books, 2006), del giornalista dell’Economist Bruce Clark, è il più completo e affascinante libro sulle tragiche conseguenze umane della Convenzione di Losanna del 30 gennaio 1923: che stipulò la reciproca espulsione, tra la Grecia sconfitta in Asia minore e la nascente Turchia di Atatürk, dei musulmani turchi residenti in Grecia e dei greco-ortodossi residenti in quello che formalmente era ancora l’Impero ottomano (la Repubblica venne proclamata il successivo 29 ottobre). Lo scambio interessò circa due milioni di persone – un milione e mezzo di romei, mezzo milione di musulmani turchi – con l’esclusione degli abitanti di Istanbul e della Tracia occidentale, la maggior parte fuggite già durante la guerra: tutte costrette – in fretta e furia – a lasciare dietro di sé casa, lavoro, amici, tombe dei cari; per trasferirsi in un nuovo paese di cui non conoscevano né la lingua né le usanze, dove vennero trattati come stranieri. Doppiamente stranieri.
Twice A Stranger ha dato lo spunto ad Anemon Productions, col sostegno dell’Unione europea e la consulenza dello stesso Bruce Clark e di Roger Zetter (università di Oxford), per realizzare un documentario dall’omonimo titolo: che attraverso testimonianze dirette e materiale d’archivio, in modo storiograficamente impeccabile e artisticamente coinvolgente, racconta anche le vicende non meno dolorose dell’esodo dei tedeschi dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale, della spartizione dell’India, dello scambio delle popolazioni a Cipro – greco-ciproti e turco-ciprioti – nel 1974-1975. Memorie, comuni esperienze di patrie perdute, comunità fatte a brandelli; rinascita, a volte: ma nella perenne irrequietezza, trasmessa alle generazioni successive. È stato presentato giovedì 23 febbraio a Istanbul nell’università privata Bilgi: con un’interessantissima conferenza di specialisti l’indomani; all’inaugurazione era presente anche il patriarca ecumenico Bartolomeo I: raggiante per i nuovi diritti e la rinnovata visibilità che le minoranze non musulmane stanno conquistando nella più democratica e aperta Turchia di Erdoğan. La piccola mostra allestita per mostrare gli spezzoni video – in postazioni dedicate – viaggerà poi a Nicosia (giugno) e ad Atene (settembre), accompagnata da attività didattiche e accademiche; il documentario – insieme a del materiale complementare – potrà essere utilizzato gratuitamente in classe.
L’argomento è stato un tabù in Turchia per molti decenni, solo nel 2001 i rifugiati di seconda generazione hanno dato vita a una “Fondazione degli immigrati del Trattato di Losanna”: che si è immediatamente attivata per realizzare conferenze accademiche, progetti di ricerca, mostre e documentari, attività culturali (soprattutto cultura e danza) anche in collaborazione con analoghe associazioni greche; “l’obiettivo fondamentale è di comprendere reciprocamente le sofferenze dell’altra parte e di far conoscere un punto di vista alternativo a quello greco, di preservare la memoria collettiva e il patrimonio culturale materiale e immateriale”, ci ha spiegato il segretario generale Sefer Güvenç. La fondazione organizza anche viaggi in Grecia nei luoghi di origine (dove molti non sono mai andati, penalizzati dalla burocrazia e dal costo dei visti) e corsi di greco per i più giovani; i fondi sono pubblici e spesso europei, il lavoro su base volontaria.
Nel 2010 è arrivata la grande occasione: un cospicuo stanziamento da parte dell’agenzia che ha organizzato Istanbul 2010 capitale europea della cultura per un museo, un “museo dello scambio delle popolazioni”. Si trova a Çatalca, una cittadina sulla sponda europea interamente abitata dai discendenti dei primi rifugiati, oltre a qualche centenario ancora in vita; è ospitato in una vecchia taverna (con molti usi successivi) messa a disposizione dal proprietario Ertuğrul Ölçer – entusiasta dell’iniziativa – e adeguatamente restaurato. Un ambiente di modeste dimensioni, allestito in modo essenziale e con cura: con esposti abiti del corredo e anche da sposa (di seta, alcuni con filo d’oro), altri capi di vestiario, tappeti, cartoline, documenti d’identità, utensili da cucina, strumenti musicali. Nei pannelli illustrativi sono ricostruite le storie famigliari dei donatori, descritte le località ancestrali – in Grecia, nelle isole dell’Egeo – un secolo fa e oggi, rappresentate le rotte dello scambio che trovano posto anche in una gigantesca mappa sulla parete esterna. Nell’edificio di fronte, oggi centro culturale dai molteplici usi, troverà posto un centro documentale per il lavoro dei ricercatori (avranno a disposizione ad esempio interviste filmate coi rifugiati di prima generazione) e – in un non meglio identificato futuro – un museo bis per dare la parola a chi venne obbligato a lasciare l’Anatolia. Per completare lo scambio, stavolta di emozioni positive e di umanità.