St Pancras Parish Church è una chiesa neoclassica, costruita tra il 1819 e il 1822, sul lato sud di Euston Road. Progettato da William Inwood, con l’ausilio del figlio Henry, l’edificio è uno dei più importanti del XIX secolo e fu realizzato in mattoni, terracotta e pietra di Portland. Per la trabeazione, e gran parte della decorazione, gli Inwood si ispirarono all’Eretteo di Atene, cariatidi incluse. La chiesa di St Pancras è, dunque, in pieno stile greco. La cripta fu utilizzata per le sepolture dei ceti abbienti della zona, fino al 1854, quando tutte le chiese di Londra furono interdette alle funzioni cimiteriali. Il luogo è ancora l’ultima dimora di 557 persone e, in entrambe le guerre mondiali, fu utilizzato come un rifugio antiaereo.
Dal 2002 la cripta di St Pancras è diventata una galleria d’arte, che ospita un programma annuale di mostre e fornisce uno scenario suggestivo per promuovere una grande varietà di opere.
Da non perdere, fino al 3 febbraio, Graveland, un’esposizione collettiva che, spaziando tra disegno, scultura, installazione, film, performance, artigianato e scrittura, esplora i cimiteri di tutto il mondo e il modo in cui si ricordano i defunti. La mostra, a carattere partecipativo, invita il visitatore a contribuire alla riflessione su un tema che, scaramanticamente, viene spesso ignorato o respinto, e che qui si affronta in uno spazio suggestivo, accogliente, e rispettoso.
Ma che cosa c’è da dire sulla morte? Sappiamo che accadrà, ma, ovviamente, preferiamo non pensarci, almeno finché non è necessario. In verità, la morte permea tutta l’arte perché, come nella vita, è sempre con noi. Lo sa bene Richard Harris, ex mercante d’arte di Chicago, che ha passato gli ultimi 12 anni della sua esistenza a raccogliere oggetti legati al sonno eterno. Tutto ha avuto inizio con l’acquisto di una bella natura morta olandese, raffigurante un teschio, cinto da una corona d’alloro, e circondato da gioielli, conchiglie, e un vaso di fiori lussureggianti. Da questo acquisto, scaturisce la passione di Harris per i memento mori, le scene di vanitas, e tutta un’iconografia, a volte ripetitiva, che, tra ossa e apparati funebri, cerca di dare un volto alla morte. Ma a che cosa somiglia quest’ultima?
Una signora elegante, un teschio avvolto da un mantello nero e con una falce in mano, un’ombra alla finestra, una clessidra…? Tutti gli artisti presenti in Death: A Self Portrait, mostra in programma alla Wellcome Collection, sembrano decisi a darle un volto. La morte, tuttavia, ha orbite vuote e manca di personalità. Che pesi le anime con una bilancia o che livelli, indifferente, i destini di ricchi e poveri, essa costituisce l’unico evento certo nel ciclo della vita. Come scrisse Oscar Wilde, ‘il più grande messaggio dell’artista è farci comprendere la bellezza della disfatta’.