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A Londra l’arte della disobbedienza

Creato il 06 gennaio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

Disobedient Objects, una mostra senza precedenti nel panorama espositivo odierno sull’estro dei materiali della dissidenza, curata da Catherine Flood e Gavin Grindon, è visitabile a Londra fino al primo giorno di febbraio e forme spontanee di dissidenza. Se passate da Knitsbridge non dimenticate di varcare la soglia del Victoria&Albert Museum: lì, superata la Hall, vi accoglierà l’ingegnosa insegna dell’esposizione che rimanda ai saggi di forme creative attraverso le tecnologie della prima ora. La lunga via dell’emancipazione dell’arte dai generi, le categorie e classificazione dei materiali è una vulgata vecchia ormai e trova il suo seme proprio in Inghilterra dove, precocemente, l’espressione figurativa ha spezzato l’incanto con le convenzioni accademiche e volato, come un’iperbole roussoiana, verso la spontaneità delle forme tramutata in anafora di autenticità dell’esistenza.

Se a questa pagina della cultura globale dell’età romantica aggiungiamo un’annotazione di cronaca delle arti applicate, comparto cui proficuamente è dedicato il celebre museo londinese sede dell’esposizione, noteremo che, dalla fine del XVIII secolo ad oggi, una porzione sempre maggiore dell’impeto inventivo occidentale è stretta fra il diaframma della storia sociale e il filtro della riproducibilità prima artigianale ora industriale dell’oggetto quotidiano.

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Da Wedgwood ad oggi, la memoria dell’uomo ha, di fatto, accudito la propria necessità di esprimersi attraverso gli oggetti quali status e iconografia di sé stesso e connesso la loro insita deperibilità ad una nuova vocazione alla monumentalità espressiva contemporanea antieroica, avviando un dialogo esuberante, verboso e vorace. È nato, dunque, un sistema comunicativo di nuovi ideogrammi in 3D destinato a rendere nitide, rapide e fragili verità da consumare nello spazio cronologico di una corrente del gusto. Fu proprio William Morris nella seconda metà del XIX secolo a pronunciare queste parole: «Se non metterete arte negli oggetti d’uso, voi, non soltanto avrete un prodotto insignificante, ma un prodotto che a ogni passo della vostra vita materiale e del suo “progresso” tenderà verso la morte della razza umana».

In questa cornice arrivata a divenire una sorta di neo etica espressiva delle recenti generazioni artistiche che hanno portato interesse proficuo verso tutte le dimensioni della creatività nobilitandole, dalla spontaneità miracolosa delle terraglie di Picasso al pesce architettonico di Frank Gehry per Tiffany, viene fuori una terza via: quella anonima della inventiva ufficiosamente incolta, sbocciata oltre ogni apparente legge ferrea all’educazione visiva e che riesce ad enucleare negli oggetti d’uso un’artisticità irriverente, immediata, ingegnosa, scanzonata pronta ad essere vestita degli orli di capolavoro.

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Ma è proprio l’educazione visiva che ci viene in aiuto in questi frangenti e che ci aiuta a vedere le cose oltre sé stesse e a leggere l’arte oltre la materia comune. La mostra londinese è l’esaltazione di questo pensiero ed esplora la grande versatilità immaginaria internazionale in frangenti collettivi di grande respiro corale in azioni di protesta: 97 oggetti, fra cui spiccano i sampietrini gonfiabili e i dollari di Occupacy Wall Street, che hanno rappresentato alcuni dei momenti più tumultuosi della nostra recente storia sociale dagli anni Settanta ad oggi sono esposti a confermare come la militanza sia in grado di promuovere un’ingegnosa produzione creativa che vada oltre le convenzioni critiche più accreditate. Machina Worlds, Speaking Out, Direct Action e Concept of Solidarity, le diverse sezioni della mostra vi aiuteranno a comprendere a sorridere e perché no?, ad immergervi nelle atmosfere, sovente di ampio respiro sociale da cui gli oggetti provengono, idealizzabili icone dei nostri sentimenti sociali più fervidi mai dimenticati.

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