E così, attraverso un istantaneo momento di chiarezza, realizzo che non sono (e forse mai sarò) sufficientemente pronto ad affrontare la realtà che mi aspetta, gli eventi che sono iniziati, e che inesorabilmente si compiranno, nonostante tutto e tutti.
La consapevolezza che nulla sarà e potrà mai essere come prima, in un modo o nell’altro, rende il mio cuore simile a una terra dove la pioggia non smette mai di cadere, incessante, come il flusso di pensieri che collega questa realtà alle mie emozioni. La cosa più dura da accettare, in tutto ciò, è l’estrema sofferenza che non posso in alcun modo evitare, la mia, ma sopratutto quella degli altri.
Ognuno, di fronte al dolore, è fondamentalmente solo con se stesso, e la presenza di altre persone, laddove di conforto, non può che limitarsi scalfire la superficie fredda e rocciosa della cometa di sofferenza che lenta si avvicina, inevitabilmente destinata a colpirci, seppellendoci sotto la sua ombra, il suo peso.
Razionalmente ho sempre saputo che questo momento, come indeterminati altri, sarebbe prima o poi arrivato, ma adesso che la sua ombra è indissolubilmente apparsa all’orizzonte, un alone di tristezza e rassegnazione si è posato su di me. Provo una grande pena interiore per questo destino infausto che è connaturato alla vita, nella quale esistere vuol dire per prima cosa resistere, alla sofferenza, alla perdita, a quest’intrinseca solitudine.
Trovare la forza di reagire a tutto questo significa forse, sopratutto, giungere ad accettare questo dolore, accoglierlo dentro se, renderlo parte della propria sensibilità, e scioglierlo lentamente in un mare di lacrime, il cui calore, sinonimo di vita, riuscirà, un giorno, a venire a patti anche con la glaciale freddezza della morte. Questa è, al momento, l’unica forma di fiducia e speranza che riesco a provare.