Magazine Cinema
Regia: Anton Corbijn
Origine: USA/UK/Germania
Anno: 2014
Durata: 121'
Attori protagonisti: Philip Seymour Hoffman
Questa è la storia di Yssa il buono, l’ennesima storia di John Le Carré finita sul grande schermo, una storia di servizi segreti, spie e terroristi. Dimenticate i congegni fumettistici di James Bond e allontanatevi dall’idea dell’agente super cazzuto alla Jason Bourne, il protagonista di A Most Wanted Man è Günther Bachmann e la cosa più mirabolante che gli vedrete fare sarà bere un caffè nero. Questo film è forse tra i più vicini alla realtà per quanto riguarda i servizi.
Siamo ad Amburgo, una città sotto stretta osservazione da parte dell’antiterrorismo in seguito ai fatti dell’11 Settembre. Bachmann è a capo di un’unità di monitoraggio che fa “quello che i tedeschi non possono fare”, vale a dire che si prende delle libertà laddove la legge tedesca pone un limite puramente burocratico, limite che per Bachmann rappresenta un ostacolo alla possibilità di bloccare un potenziale terrorista. Anton Corbijn segue il protagonista per le strade di una città dai toni desaturati e lo fa riuscendo a rendere alla perfezione l’atmosfera pesante e alienante. Bachmann, la giovane avvocatessa Annabel Richter, Issa e gli altri personaggi si muovono in una città con quasi due milioni di abitanti senza che nessuno li noti. Sono tutti in secondo piano, sembrano quasi non esistere e l’attenzione è focalizzata solo ed esclusivamente su chi arriva a interagire con questa zona grigia.
Il film non ha particolari colpi di scena ma riesce comunque a mantenere sempre alta la soglia di attenzione dello spettatore, andando avanti in maniera moderata per un totale di due ore a ritmo costante fino allo schianto finale. La verità è forse che la parte più affascinante del film è l’interpretazione di Philip Seymour Hoffman, non tanto per l’interpretazione in sé, che è comunque perfetta, quanto perché è assolutamente inevitabile per lo spettatore fare un duale tra l’attore e il personaggio interpretato. Ciò ci fa vivere la storia probabilmente con un coinvolgimento diverso, sicuramente maggiore, per quanto nessuno si sia azzardato a speculare su questa cosa. Anzi, tanto di cappello a Corbijn che ha dichiarato di essersi opposto all’utilizzo di “L'ultimo film di Philip Seymour Hoffman” in campagna pubblicitaria.
Bachmann/Hoffman è stanco e vive portandosi dietro i fantasmi del suo passato, correggendo il caffè col whiskey senza neanche badare alla quantità. Si muove per inerzia quasi, in maniera affannata ma convita, fino alla fine. Fino a quando la sua esplosione di rabbia non manifesterà un’insofferenza nei confronti della vita, della meschinità dell’uomo, di chi l’ha fatto finire ad Amburgo punendolo per delle colpe mai commesse. Un finale che non dà un insegnamento o porta a una risoluzione dell’intreccio, non è questo l’intento del film. Ci ritroviamo a guardare un finale che lascia l’amaro in bocca e che forse, purtroppo, toglie un po’ di speranza.
In conclusione, la prestazione del protagonista è talmente empatica che è inevitabile lasciarsi assorbire completamente per due ore da una storia tuttavia semplice e con pochi dialoghi. Quello che a giudicare dal titolo del libro di Le Carré dovrebbe essere il vero protagonista si riduce a essere un semplice pretesto per raccontare una storia, vedendosi ridotto a personaggio secondario ma riuscendo comunque a raccontare con poche espressioni la sofferenza dell’intera popolazione cecena. Nota di merito per Willem Dafoe che è al sesto film di seguito per il 2014 e non fa un’interpretazione brutta manco a pagare. Noi non siamo pagati per fare pubblicità quindi possiamo dirlo: andate a vedere l’ultima splendida interpretazione che Philip Seymour Hoffman ha donato al mondo del cinema.
Ingmar Bèrghem
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