A ognuno il suo: come sopravvivere alla corsa

Da Fishcanfly @marcodecave

Dopo due giorni di mal di testa incessante e martellante comincio a farmi due domande. È la solita emicrania che mi viene da due anni, a scadenze regolari di due mesi. C’è sempre un due che ricorre. E infatti siamo in due. Io e lei: la mia emicrania. Le ho anche dato un nome… sì, proprio un nome, perché come ho appena detto è la mia emicrania ed ormai è una vecchia amica che di tanto in tanto viene a farmi visita.

Solitamente viene a trovarmi a conclusione di uno di quei periodo intensi che assorbono tutte le energie che hai in corpo e ti lasciano scarica, svuotata. È una tipa educata perciò mi avvisa sempre con un certo anticipo, facendosi annunciare da una lieve sonnolenza e da un leggero senso di disorientamento. Arriva e si sistema con calma nel suo angolino preferito, tra la tempia e l’occhio sinistro, disfa i bagagli e aspetta che io le dia un po’ d’attenzione. Spesso ho provato ad ignorarla, ma purtroppo è una di quelle presenze che se all’inizio appaiono discrete e silenziose, dopo poco diventano ingombranti: nel giro di un’ora sono costretta ad arrendermi e a concederle me stessa ed il mio tempo, così, sdraiata accanto a lei nella penombra, passo ore lunghissime a raccontarle di me e della mia vita. In questi nostri rendez-vous c’è sempre poi un momento in cui socchiudo gli occhi e lascio che sia lei a parlare, a rimproverarmi benevolmente per quanto mi trascuri, per quanto pensi poco alla mia salute… “sai che dovresti smettere sul serio di fumare e che non ti fanno bene tutti quei caffè” oppure “ti vedo così stanca… vuoi fare troppe cose nella vita e così finisce che sei sempre stressata” o ancora “hai lo sguardo spento, ma mangi a sufficienza?”… Pian piano le sue parole si fanno sempre più confuse e si riducono a ritmiche pulsazioni nelle mie tempie dolenti, così, lentamente scivolo in un sonno profondo ed avvolgente, in cui lei resta a cullarmi.

Mi risveglio di soprassalto, con il cuore accelerato e la fronte umida di sudore. Per un attimo ho l’impressione che se ne sia andata silenziosamente, senza dirmelo, poi però mi tiro su e mi accorgo che è ancora lì, nel suo angolino, ma non ha più voglia di parlare. Solitamente a questo punto s’è fatta sera allora la porto con me in cucina e ceniamo assieme. Con noncuranza le chiedo se ha intenzione di restare per la notte, ma lei non risponde: sappiamo entrambe che se ne andrà prima del mio risveglio perciò, anche se trascorreremo la notte insieme preferiamo salutarci subito. Lei mi osserva mentre mi verso il mezzo bicchier d’acqua in cui discioglierò il nostro effervescente arrivederci, poi saliamo in camera da letto e, ormai esauste, ci corichiamo.

Non l’ho mai sentita andarsene. È silenziosa, volerà via con grazia nella notte scomparendo in una nuvola di paracetamolo e ibuprofene.

Al mattino mi ritrovo finalmente sola e tiro un sospiro di sollievo. Sono lieta che si sia dileguata tuttavia non ce l’ho con lei per i brutti momenti che mi fa passare… tutto sommato, gettandomi in un tale stato di prostrazione fisica e mentale, mi regala pomeriggi interi di riposo, costringendomi a fermarmi, ad annullare tutti i miei impegni, a starmene sdraiata nella mia stanza con una pezza fredda sulla fronte e la sicurezza che nessuno oserà venire a disturbarmi, interrompendo quella sorta di mistico momento di meditazione.

Quindi vedete, non si tratta affatto di romanticismo. Si tratta di saper apprezzare il fatto di avere degli amici speciali, veri o immaginari, che sanno meglio di te quando è il momento di rallentare, di fermarsi per riprendere fiato, per fare il punto della situazione. Anche se noi stakanovisti, iperattivi, insonni schizzoidi possiamo essere vinti e convinti solo da mezzi coercitivi, sono sicura che per tutti gli altri esistono innumerevoli altre soluzioni, anche piacevoli, per imporsi il tanto auspicabile, anche se solo momentaneo, STOP.

Sta ad ognuno di voi trovare il vostro personale. Il messaggio però è lo stesso per tutti.

Non ostinatevi. Ogni tanto arrendetevi alla vostra fallibilità.

La vittoria non è sempre di chi arriva per primo: a volte appartiene a chi il traguardo se lo gode perché c’è arrivato vivo.



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