giacomo favretto
Giacomo Favretto (Venezia 1849 – 1887). Il 700 è l’ultimo secolo della Serenissima. La regina dei mari e dei commerci si accartoccia, rantola e muta da leone corraggioso a gatto domestico. Si spengono le luci sui fasti dei Dogi, e cala la nebbia della modestia terrigna. La fecondità artistica della Repubblica si inceppa. Il 700 porta via con sé i trionfi del Tiepolo, le vedute del Canaletto, la cortesia del Longhi e l’eleganza del Guardi. Come uno tsunami, arrivano a ondate, dominanti, Francia, Austria e Italia. L’800 veneto è fatto di emigranti, smarrimento e miseria. Non si sogna più in grande. Ci si sofferma sulle piccole cose. Prende vita un approccio realista anche in pittura.
Nonostante tutto, il “sedimentato” di libertà, cultura e apertura al mondo della millenaria repubblica genera ancora una volta una manciata di artisti di assoluto rilievo. Davanti agli altri, si fa strada Giacomo Favretto, veneziano di umili origini e precoci doti artistiche che gli consentono, pur tra difficoltà economiche, di formarsi agli studi artistici all’Accademia. Studia i grandi pittori veneti del passato, si muove nel loro solco e al contempo innova con le sue intime osservazioni sulla vita nei campielli. Costruisce immagini che ammaliano per l’immediatezza delle scene, per quei soggetti popolani in cerca di leggerezza, per gli sguardi che mostrano intenzioni. I titoli delle sue opere sono un omaggio alla vita semplice, senza sotterfugi o melodrammi.
Dotato di acutezza e stile ironico, diventa il perno della pittura veneziana del tempo e guadagna tanto da permettersi l’acquisto di un palazzo sul Canal Grande. I reali, e particolarmente la regina Margherita, lo hanno in forte simpatia. La sua vita diviene un rincorrersi frenetico di successi e riconoscimenti che si infrangono prematuramente per tifo a soli 37 anni. La sua, sì, è stata una grande perdita.
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