Eravamo all’inizio dell’estate quando per la prima volta vidi un concerto dei Kutso. La performance coinvolgeva, il pubblico si divertiva ed entusiasmava.
“Cerchiamo di rendere i live delle vere e proprie feste” ha detto Matteo Gabbianelli, cantante dei Kutso.
La musica scorreva leggera. Le melodie erano orecchiabili e ritmicamente efficaci. Ciononostante, sentivo dentro di me qualcosa che non mi convinceva nel loro modo di esibirsi, di trasmettere messaggi e di presentare la propria immagine.
Con questo articolo cercherò di chiarire le mie perplessità.
Il primo punto che vorrei analizzare riguarda la loro ironia e l’uso della volgarità. Ogni frase che utilizzano è impregnata di parolacce o bestemmie e riguarda spesso argomenti che rinviano al sesso e alle sue vicissitudini. Tra i miei coetanei (ho diciannove anni) e soprattutto tra i ragazzi più piccoli di me è normalissimo usare questo tipo di linguaggio, per cui niente di tutto questo mi scandalizza. Al giorno d’oggi dire le parolacce e le bestemmie è estremamente di moda. Il linguaggio scurrile di solito si usa per dire qualcosa in maniera diretta o per fare ridere, infatti spesso appena si aggiunge una parolaccia a una frase, scappa la risata o l’applauso. Mi viene in mente la scena del film Forrest Gump nella quale Forrest per sbaglio interviene alla manifestazione che si tiene contro la guerra in Vietnam, e si chiede tra sé e sé il motivo per cui quando viene detta la “parola con la F” tutti applaudivano e urlavano.
Alcuni giornalisti hanno paragonato la loro ironia a quella di Rino Gaetano descrivendola come qualcosa di geniale e originale, uscito da chissà dove.
Ripensando al concerto cui ho assistito, ai testi delle loro canzoni, a quello che dicevano sul palco, in realtà non ho trovato nulla d’innovativo, riconoscendo quell’ironia abbastanza comune e trash diffusa in molti ambienti giovanili e non.
Ho dunque ricollegato tale ironia più che all’eleganza di Rino Gaetano, alle divertenti (ma talvolta scontate) gag dei cine panettone di fine anno.
Sono spettacoli che piacciono un po’ a tutti. Si ride facilmente perché di questi film se ne conoscono bene i cliché, i luoghi comuni, gli stereotipi che, combinati dal Neri Parenti di turno, danno luogo a commedie che comunque possono far serenamente (ma senza sobbalzi particolari) trascorrere un paio d’ore.
Le canzoni dei Kutso, a primo impatto mi sono, dunque, sembrate orecchiabili, ritmicamente coinvolgenti e molto simili tra loro. Possiamo trovare un certo parallelismo con i Luna Pop degli anni ’90, gruppo che indugiava in sonorità orecchiabili e gradite principalmente ai teenager dell’epoca oltre che a un vasto ed eterogeneo pubblico.
Quello che infatti si può notare dei Kutso è che il loro pubblico è altrettanto vasto e raccoglie target tra loro molto diversi o addirittura contraddittori. Da questo punto di vista bisogna dare loro merito: sono riusciti ad includere nei loro brani più esperienze musicali, che hanno coinvolto e accomunato molte persone, riuscendo comunque a rendere le loro canzoni riferibili a una medesima caratterizzazione musicale.
Molti giornalisti reputano la loro musica come qualcosa di nuovo, mai sentito prima. Reputo invece che la loro grande vittoria si è giocata su un terreno precostituito: non c’è niente di nuovo nelle melodie, nel ritmo, nei testi e nel modo di esibirsi dei Kutso. Il loro mix musicale, il saper attingere e mettere insieme vari stereotipi, cliché, giri di chitarre degli anni cinquanta e le frasi da slang da strada, misto con un robusto turpiloquio, ha funzionato, creando un generatore di consensi che pochissimi gruppi emergenti erano riusciti a realizzare.
Allo stesso modo i testi delle loro canzoni riflettono la loro ironia ed eterogeneità stilistica. I temi che trattano sono essenzialmente molto semplici e riguardano comuni vicende di vita che già da tanti lustri sono state oggetto di canzoni.
Il modo di fare musica dei Kutso è stato paragonato da alcuni al teatro canzone “gaberiano”. Il parallelo ritengo sia quantomeno affrettato, infatti, è vero che Gaber raccontava anche di fatti comuni (come farsi uno sciampo) ma è altrettanto vero che in maniera geniale raccontava la quotidianità facendo emergere gli aspetti meno immediati di quest’ultima, mentre i nostri Kutso, nei testi non sembrano proporre nulla di veramente originale. Sembra invece che le canzoni cerchino il consenso immediato senza correre il rischio di percorrere strade effettivamente innovative da un punto di vista estetico, di contenuto e musicale.
E’ peraltro difficile individuare un’estetica e una identità musicale ben precisa dei Kutso. Anche le band disimpegnate che magari musicalmente valgono anche meno dei Kutso possono comunque avere una spiccata personalità, un progetto musicale tangibile e un’estetica molto caratterizzata. Alcuni gruppi classificati come “disimpegnati” che fanno della musica apparentemente banale, in realtà hanno dietro una grande profondità, personalità e un progetto interessante.
I Kutso a Sanremo hanno saputo distinguersi creando una proposta musicale sicuramente migliore rispetto a quella degli altri gruppi in concorso, il loro secondo posto è una grande e meritata vittoria. Speriamo che questa esperienza li porti a essere un gruppo di musica leggera che, forte del consenso pubblico acquisito, abbia il coraggio di sviluppare una proposta musicale, un progetto che non siano una semplice conferma di facili cliché, ma frutto di idee realmente personali e originali.
Di Eleonora Vasques.