In occasione della presentazione del documentario Altman alla Mostra del Cinema di Venezia 2014 abbiamo avuto occasione di intervistare delle figure decisamente legate al grande regista americano Robert Altman, dal punto di vista sia professionale che privato: l’attore Michael Murphy, che ha lavorato con Altman in diversi film, tra cui l’immenso Nashville, sua moglie Kathryn Reed Altman e proprio Ron Mann, il regista del film, proiettato nell’ambito della sezione Venezia Classici e arrivato nelle nostre sale il 16 ottobre, prima pellicola ad essere distribuita da MyMovies.it. Inoltre, Altman sarà mostrato in esclusiva streaming nella sala web di MyMoviesLive! domenica 9 novembre alle ore 21,30 (è necessaria la prenotazione) e verrà programmato in prima Tv su Studio Universal nell’ambito di uno speciale omaggio dedicato al grande regista americano in occasione dei 90 anni dalla nascita.
Michael Murphy, che ricordi ha del suo lavoro con Robert Altman?
Michael Murphy: Tantissimi ricordi incredibili. Su Nashville, in particolare, ci sarebbe tantissimo da dire: ricevemmo la chiamata di Bob su un set che fu trasformato fin da subito in una specie di festa enorme. C’era un motel tipico americano, di quelli a due piani, e siamo rimasti lì per una decina di giorni. Ricordo che c’era un sacco di gente molto eccentrica, bastava guardarsi intorno e ci si ritrovava davanti davvero di tutto: chi lottava, chi praticava yoga, e un sacco di musica nell’aria. Molti di noi neanche si conoscevano e quella fu l’occasione buona per farlo, c’era anche Keith Carradine. Bob elargiva sempre grandissima libertà durante le riprese, ma diceva sempre a ognuno di noi: “Fai pure quello che vuoi ma non annoiarmi, sennò passo immediatamente ad un’altra storia”.
Kathryn, può parlarci, tra i tanti momenti memorabili della carriera di suo marito, della serata in cui Altman ritirò il suo Oscar alla carriera?
Kathryn Reed: In passato aveva avuto una reazione ostile a quel premio, quando in precedenza gliel’avevano proposto diceva sempre che non lo voleva perché non aveva ancora finito di lavorare, si considerava un regista ancora pienamente in attività. L’avevano già contattato e aveva rifiutato; infine accettò a patto però che quella notte venisse mostrata una clip del suo ultimo film, Radio America. In quella serata ci fu anche la rivelazione al mondo del trapianto di cuore che aveva subito. Bob non aveva voluto dirlo a nessuno e lo aveva tenuto segreto per anni, ragion per cui fu abbastanza commovente per me vedergli fare quella confessione su quel palco così speciale, davanti a tutti.
Ron Mann, com’è nata l’idea di Altman?
Ron Mann: Siamo partiti proprio dall’Italia, dalla retrospettiva sulla New Hollywood che si è tenuta al Torino Film Festival e che naturalmente ha incluso anche i film di Altman. L’idea è germogliata in quel contesto. Ho passato poi tutta l’estate nell’Università del Michigan a scartabellare le immagini e i contenuti degli archivi altmaniani più completi che esistano, che si trovano proprio in quel polo universitario. E’ stato un lavoro molto eccitante che mi ha permesso anche di accedere un po’ al privato di Kathryn e Robert, attraverso ben ventisette album di famiglia che ho potuto avere sottomano e chi mi hanno davvero illuminato.
Nel film si chiede a vari personaggi e celebrità legati ad Altman di dare la propria definizione di altmanesque. Cosa rappresenta per te il termine “altmaniano”?
Ron Mann: Svariate cose tutte insieme in realtà, ma se dovessi dirne una sola direi “radicalmente indipendente”. Altman era uno che ha sempre lottato contro il conformismo dei canoni, non a caso in Tv veniva licenziato dopo appena cinque minuti perché voleva fare sempre e comunque di testa sua e non intendeva dover rispondere mai a nessuno. Si prendeva i suoi rischi, sempre e comunque.
Kathryn, i film di Altman somigliano molto a delle ensemble jazzistiche. Che rapporto aveva suo marito, nel privato, con la musica? (Prima che Kathryn Reed prenda la parola, Michael Murphy ammicca sottovoce dicendo che era spesso Kathryn stessa a passare ad Altman parecchia musica da ascoltare, indirizzandolo nei gusti musicali…)
Kathryn Reed: Negli ultimi anni si era anche molto appassionato al balletto, cui ha pure dedicato uno dei suoi ultimi film, The company. La musica aveva un influsso grandissimo su di lui; e gli avrebbe fatto piacere e forse l’avrebbe perfino commosso che del suo cinema si sottolineasse l’aspetto di coralità musicale sopra ogni altra cosa. Gli piaceva anche Leonard Cohen. Ricordo che, ai tempi delle riprese di Anche gli uccelli uccidono, aveva chiamato Cohen che avrebbe tenuto un concerto a New Orleans quella sera. Il primo album di Cohen, questo grande cantautore canadese e filosofo all’epoca in rampa di lancio, Bob lo amava e lo ascoltava di continuo. Cohen fu cortese, gli disse: “Io so chi so chi sei, sei il regista che ha fatto quel film là, mi è molto piaciuto”, ma non sono sicura che lo conoscesse davvero, a quel tempo.
Com’era condividere le giornate con Robert Altman?
Kathryn Reed: Significava vivere con un uomo completamente assorbito dal proprio lavoro, anche se sul set era leggero ed estremamente naturale. Era sempre divertente in compenso lavorare a stretto contatto con uomo così generoso. Sul set c’erano spesso dei party, ricordo che durante la lavorazione de La fortuna di Cookie, film che tra l’altro secondo me è bellissimo ma non viene citato abbastanza spesso, ce n’era praticamente uno ogni sera. Stavamo a Holy Springs, questa accogliente piccola cittadina del Mississippi simile a un villaggio. C’era Glenn Close che veniva sul set in bici e noi la salutavamo dal portico. E’ rarissimo, quando si sta su un set, che si arrivi a un simile grado di familiarità con tutti i componenti della troupe.
Qual è il vostro film di Altman preferito, quello cui vi sentite legati maggiormente?
Michael Murphy: Per quanto mi riguarda, come puoi intuire da ciò che ho detto all’inizio, è proprio Nashville.
Kathryn Reed: Io direi MASH, ma Bob non aveva un film preferito tra i suoi. Dopo i fiaschi commerciali c’era un attimo in cui si abbatteva ma poi ripartiva con rinnovato entusiasmo una volta assorbito il colpo; ne soffriva, certo, ma non si lasciava sopraffare completamente. Per lui il film prediletto, esattamente come se fossero i suoi figli, era quello più debole o meno compreso, che aveva dunque bisogno di più cure per essere protetto.
Ron Mann: Anche io direi MASH, una commedia antiautoritaria in cui Altman fu davvero geniale, ma California poker è forse il suo film che a livello stilistico mi ha colpito più di tutti gli altri.
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