Non si ritenga cosa da poco, una disputa accademica fra eruditi, perché è da ragionamenti come questi che discendono conseguenze decisive per la nostra vita quotidiana. E‘ per la disattenzione a questi temi – che ci indicano la via per costruire il futuro – che, per esempio, il Partito Democratico si trova senza idee ad affrontare la competizione politica, che cede l’egemonia culturale ad una Lega rozza ma efficace nel dipingere la propria idea sulla società di domani.
Baricco ci scrive il suo articolo dal luglio 2026. Ci dice, da quel prossimo futuro, che i barbari hanno vinto. Che hanno abbattuto la modernità, demolendone la costruzione più importante: la profondità. Per farci comprendere cosa intende, ci da questo quadro dei moderni: “Li alimentava l'ostinata convinzione che il senso delle cose fosse collocato in una cella segreta, al riparo dalle più facili evidenze, conservato nel freezer di una oscurità remota, accessibile solo alla pazienza, alla fatica, all'indagine ostinata. Le cose erano alberi - se ne sondavano le radici. Si risaliva nel tempo, si scavava nei significati, si lasciavano sedimentare gli indizi. Perfino nei sentimenti si aspirava a quelli profondi, e la bellezza stessa la si voleva profonda, come i libri, i gesti, i traumi, i ricordi, e alle volte gli sguardi. Era un viaggio, e la sua meta si chiamava profondità.”
Alla cultura della profondità i barbari hanno sostituito quella della superficialità. E Baricco ci dice senza perifrasi di sentirsi uno di loro: “non sembriamo aver rinunciato a un senso, nobile e alto, delle cose: ma abbiamo iniziato a inseguirlo con una tecnica diversa, cioè muovendoci sulla superficie del mondo con una velocità e un talento che gli umani non hanno mai conosciuto. (…). Perdiamo capacità di concentrazione, non riusciamo a fare un gesto alla volta, scegliamo sempre la velocità a discapito dell'approfondimento: l'incrocio di questi difetti genera una tecnica di percezione del reale che cerca sistematicamente la simultaneità e la sovrapposizione degli stimoli: è ciò che noi chiamiamo fare esperienza. (…) Viaggiamo velocemente e fermandoci poco, ascoltiamo frammenti e mai tutto, scriviamo nei telefoni, non ci sposiamo per sempre, guardiamo il cinema senza più entrare nei cinema, ascoltiamo reading in rete invece che leggere i libri, facciamo lente code per mangiare al fast food, e tutto questo andare senza radici e senza peso genera tuttavia una vita che ci deve apparire estremamente sensata e bella se con tanta urgenza e passione ci preoccupiamo, come mai nessuno prima di noi nella storia del genere umano, di salvare il pianeta, di coltivare la pace, di preservare i monumenti, di conservare la memoria, di allungare la vita, di tutelare i più deboli e di difendere il lardo di Colonnata. In tempi che ci piace immaginare civili, bruciavano le biblioteche o le streghe, usavano il Partenone come deposito di esplosivi, schiacciavano vite come mosche nella follia delle guerre, e spazzavano via popoli interi per farsi un po' di spazio. Erano spesso persone che adoravano la profondità.”
A questa visione, che in gran parte condivide (anche se ovviamente non se ne sente parte) Scalfari aggiunge alcune sue riflessioni. Prima di tutto sull’oggetto della discussione, i barbari. “In realtà Baricco non sta descrivendo i barbari ma gli imbarbariti, che è cosa profondamente diversa. Gli imbarbariti parlano ancora il nostro linguaggio ma lo deturpano; usano ancora le nostre istituzioni ma le corrompono; non vogliono affatto preservare il pianeta dalla guerra, dal consumismo, dall' inquinamento e dalla povertà, ma al contrario vogliono affermare privilegi, consorterie, interessi lobbistici, poteri corporativi, dissipazione di risorse e diseguaglianze intollerabili”.
Conclude Scalfari dicendosi di non credere “nella contrapposizione tra profondità e superficialità come una conquista e un avanzamento. Tanto meno credo che questa contrapposizione caratterizzerà il futuro e non lo credo perché c' è sempre stata in tutte le epoche. Guarda, caro Alessandro, alla Grecia a te giustamente cara: lì nacque la tragedia e con essa il teatro cinque secoli prima di Cristo e lì otto secoli prima di Cristo era nata la poesia con Omero e ancora prima i miti e i misteri ma anche il gioco, la danza, i numeri, la geometria, la cura del corpo e la cura delle anime. Quella che tu chiami la profondità. Ma essa conviveva con la superficialità così, con le emozioni, con la vita senza radici, con l' adorazione dei fenomeni, delle apparenze, con i mutamenti immediati di prospettiva, con un prisma conoscitivo continuamente cangiante”
Vorrei a questo punto inserire alcune mie riflessioni.
Mi sembra che queste visioni così convincenti e nitide abbiano al loro interno qualcosa di non risolto. Partiamo dal cuore stesso della faccenda: i barbari. Io ricordo, per lontana reminescenza scolastica, che i barbari vengono ‘da fuori’. Mi ricordo di Goti e di Unni transumanti dalle pianure orientali, indifferenti – ovviamente indifferenti perché estranei - al fascino dei monumenti e della filosofia. Questi sono i barbari portatori di una nuova cultura (non necessariamente migliore), quella destinata a costruire la società del futuro.
Quindi i nuovi barbari non sono quelli che dice Baricco, ma piuttosto dobbiamo cercarli fra gli africani, i mediorientali ed i cinesi che si insediano nelle città che sentiamo come nostre, portati dalla spinta inarrestabile del bisogno. Ognuno con la propria cultura, ugualmente estranei alla nostra modernità oppure con una loro peculiare idea di modernità. La loro cultura, forse, è destinata un giorno a soppiantare la nostra. E siccome è destino delle culture quello di farsi egemoni se sorrette dalla potenza dei popoli che le praticano, è destino che qualcuna di queste soccomba, annacquandosi all’interno di altre, mentre una (quella cinese?) farà la storia.
Giustamente Scalfari dice che quelli di Baricco non sono ‘i barbari’ ma gli ‘imbarbariti’, anche se, a ben vedere, la descrizione che ne fa poco si addice al profilo tracciato da Baricco: uno sembra parlare del ventre della società, dei giovani di oggi nella loro totalità, l’altro discute della classe dominante, degli approfittatori che si spartiscono i brandelli della nostra grandezza.
I comportamenti sapientemente esposti da Baricco a me sembrano funzionali al modello sociale che oggi si sta sempre di più affermando. Scegliere “la velocità a discapito dell'approfondimento” è il punto di arrivo di quello che veniva detto consumismo. In fondo le due descrizioni rappresentano i poli della realtà che abbiamo sotto gli occhi: da una parte una gran massa di individui che trovano la loro gratificazione nel consumo rapido e distratto di tutto ciò che capita loro a tiro, dall’altra gruppi ben consapevoli del funzionamento “profondo” della società e che questa conoscenza sfruttano per volgere le istituzioni a proprio favore.
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