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Convinti che un opera debba essere giudicata per quello che è, senza tenere conto delle cose che gli girano intorno non si può fare a meno di associare “Prometheus”, il nuovo film di Ridley Scott ad “Alien” opera seminale che nel 1979 rivelò al mondo le doti visionarie del regista inglese. Un paragone impossibile da evitare per l’argomento che i due episodi condividono e perchè il film appena uscito si allinea cronologicamente al prima precendolo di poco nelle vicende raccontate. Nel farlo è quasi scontato domandarsi per quale motivo a più di trent’anni di distanza si sia sentita la necessità di creare un'appendice ad un opera il cui fascino derivava anche dagli interrogativi a cui invece Prometheus cerca di rispondere. A giudicare dai risultati, e spiace dirlo, appare evidente cercarne le ragioni nel tornaconto economico che in fase progettuale appariva molto elevato ed ora è invece bene al di sotto delle aspettative. Certamente non può esserlo per il disinteresse con cui Scott la sviluppa la fabula dei titani che vogliono distruggere l’umanità dopo averla creata, usando degli alieni prodotti in laboratorio. Ne tornare ad arrovellarsi sul desiderio di infinito dell’uomo disposto a tutto pur di soddisfare un desiderio che ancora una volta prende forma nella figura dell’equipaggio inviato in missione suicida. Più che una novità “Prometheus” sembra infatti un clone aggiornato della sua matrice, da cui riprende con poca fantasia situazioni narrative ed elementi drammaturgici mascherati da una diversità per buona parte derivata da un restylinga base di effetti speciali di ultima generazione. A peggiorare la situazione la sensazione di posticcio e di superficialità trasmessa da una sceneggiatura bulimica, sempre sull’orlo di scoppiare per riuscire a contenere la quantità di spunti e di situazioni proposti dalla storia. Se “Alien” metteva in scena il subconscio ed i suoi fantasmi attraverso una rappresentazione rarefatta e la voglia di raccontare, qui tutto avviene in maniera forsennata e superficiale al solo scopo di accumulare meraviglia e stordimento.
In giro per la rete, nei forum specializzati e tra i fan più incalliti la tendenza è quella di salvare il film pur riconoscendo la sua debolezza. A suo favore ci sarebbe la bellezza delle immagini e la capacità del regista di proporle senza aver perso lo smalto dei tempi migliori. Una tesi limitante se pensiamo ai trascorsi del regista che prima di diventare un cineasta frequentò prestigiose scuole di arte e di disegno. Ridurre la sua arte alla sola componente visuale significa andare contro la storia e dimenticare che ai tempi di “Alien” Scott rinunciò a sviluppare in prima persona l’universo extra mondo in cui si muovono Ripley e compagni per affidare il compito a disegnatori come Giger e Moebius che di fatto inventarono un estetica ancora oggi all'avanguardia. E se questo non fosse ancora sufficiente basterebbe comparare il carisma ed il fascino di una combinazione come quella di Ripley/Sigourny Weawer con il minimalismo ordinario ed anonimo di Elizabeth Shaw/Noomi Rapace. Se fosse una partita non si inizierebbe neanche a giocare tanto è il divario tra i due contendenti. La verità è che “Prometheus” può parlareai mangiatori di pop corn domenicali oppure ai frequentatori del cinema multisala dove il gusto personale è subordinato alla disponibilità dei posti in sala ma rimane distante anni luce dalla qualità e dall'empatia del suo predecessore. Ciononostante Scott sembra invece di altro parere se è vero che la nuova versione di “Blade Runner” è già in cantiere sempre a cura del regista. A questo punto dobbiamo dire che ogni dubbio è lecito.
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