Devo ancora capire adesso se possedeva il dono dell'ubiquità, il fatto è che dovunque andassi lo incontravo. All'uscita del teatro dopo lo spettacolo, davanti alla Feltrinelli di piazza Castello, di fronte al cancello del Teatro Regio dopo la prova generale, lui era lì. Immancabilmente. Abbiamo cominciato a chiacchierare un po' alla volta mentre il suo italiano migliorava a passi da gigante, e altrettanto un po' alla volta siamo diventati buoni amici. Nel frattempo avevo fatto anche conoscenza con i suoi fratelli: Sahid,
(beniamino di professori e studenti di palazzo Nuovo, il quale non solo è perfettamente a suo agio tra congiuntivi e consecutio temporum, ma addirittura sa esprimersi in un piemontese così impeccabile che Borghezio se lo sogna), e Rachid, il più piccolo della famiglia.
Per questo quando è arrivato il gran giorno sono andata alla discussione della sua tesi
armata della mia solita macchina fotografica e di una buona dose di emozione.
Emozione che, ho potuto constatare, siamo stati in molti a condividere.
Il giorno dopo tutta Torino parlava di Rachid, e anche i maggiori quotidiani hanno dedicato spazio alla sua storia. Se ne è interessata perfino la televisione (al minuto 10,40 del notiziario)
Per un nanosecondo sono stata inquadrata anch'io e tanto è bastato perché mi piovesse addosso una quantità di messaggi, mail e telefonate di congratulazioni, manco fossi stata io a laurearmi. Insomma, grazie a Rachid ho avuto anche io il quarto d'ora di celebrità di cui parlava Andy Warhol