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A quale modello di docente appartieni?

Creato il 20 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno

A quale modello di docente appartieni?
Qualche tempo fa, forse nella speranza di rompere il mio isolamento teorico, ho inviato delle email, nelle quali invitavo cortesemente a visitare il mio blog (non questo ma quello che dedico all'etoanalisi) e ad esprimere eventualmente un breve parere, a quattro docenti universitari, che in qualche modo s’occupano di temi affini alla mia ricerca. Ai quattro messaggi è seguito un silenzio assoluto. Non che m’aspettassi chissà che cosa, ma almeno un semplice e formale scambio di poche battute, di quelle in cui si risponde “grazie, ecc. ecc.”; oppure un “mi dispiace ma ciò che lei scrive sono un cumulo di sciocchezze”; ovviamente, espresse con circonlocuzioni un po’ più garbate, “carine”, ma il cui senso fosse sostanzialmente questo. Quantomeno m’avrebbe convinto che da parte dal mondo accademico esiste comunque un’attenzione e un interesse verso ciò che esula dai loro “normali” circuiti di comunicazione (stampa, editoria, recensioni, riviste, conferenze, televisione, ecc.). Mi pare che ormai si sia presa coscienza del fatto che il Web abbia spezzato il monopolio di controllo e di diffusione delle idee, in mano sin a qualche decennio fa all’editoria e al mondo cartaceo in genere. Oramai è pacifico che le idee (buone o cattive) possano raggiungere in tempo reale i quattro punti cardinali del pianeta. Prima di scoprire le potenzialità del Web, era mio costume tenere chiuso in un cassetto tutto ciò che scrivevo e aspettare tempi migliori per poterlo divulgare (magari a spese proprie!). insomma, una loro qualsiasi risposta (negativa o positiva) m’avrebbe fatto comprendere che da parte di quel mondo esista davvero un interesse e una curiosità a conoscere quanto di “nuovo” circoli nel cosiddetto mondo virtuale. Invece, quel silenzio che cosa mi ha fatto capire o, meglio, che cosa mi ha confermato? Quale sia lo scarso  livello di qualità delle nostre università che le classifiche delle migliori o peggiori università certificano ogni anno.
Premetto che mie personali vicissitudini mi hanno consentito di osservare un po’ da vicino questo cosiddetto mondo accademico, anche senza mai parteciparvi direttamente, e quindi di valutarlo con cognizione di causa. Per dare un’idea del livello di qualità raggiunto in questi ambienti do dei modelli paradigmatici. Il primo che mi viene in mente è il modello del docente “strafalcione”. Ad esempio, in un libro sulla moda ho trovato che La teoria della classe agiata è stata scritta da Weber. Insomma c’è ancora chi confonde Veblen con Weber. Poi abbiamo il modello del docente “imprenditore”, quello che ha l’abitudine di cambiare ogni anno titolo e copertina del libro (spostando di volta in volta i capitoli da una parte all’altra), senza mai variare sostanzialmente il contenuto allo scopo di vendere più copie (già perché gli studenti sono tacitamente costretti a presentarsi all’esame con l’ultimo stadio della ricerca: il cambio del titolo!). Un altro modello di docente è quello del “plagiatore” quello che copia letteralmente i libri degli altri. Il docente plagiatore a volte copia anche male, allora diventa anche un docente strafalcione. Poi abbiamo il cosiddetto docente “glossatore”, quello cioè che costruisce tutta la sua carriera accademica a discettare, in lungo in largo e in ogni direzione, su un autore, a commentarlo e spiegarlo in tutte le salse, ed è colui che poi diventa l’esperto della materia, quello diventa obbligatorio invitare a tutti i convegni in cui si parli del loro beniamino. Si possono anche definire il modello del docente “ologo” o del docente “iano”, per via del fatto che il nome si richiama sempre a quello di cui sono diventati glossatori. Per tutta la loro vita accademica non riescono a tirar fuori dal cilindro un solo, dico uno solo, pensiero originale, e continuano a svolgere l’onesto mestiere del “glossatore”. Altro modello paradigmatico, è il docente “divulgatore”, quello che si occupa di tutto e di più, la cui unica missione è divulgare quanto di meglio viene prodotto in una determinata disciplina. I docenti divulgatori, ahimè, sono anche i più superficialoni, perché, purtroppo, devono tenersi a passo con i tempi. La loro disciplina cambia continuamente e non hanno tempo di soffermarsi su questo o quell’aspetto. Infine, abbiamo il modello del docente “esternatore”, quello che abbiamo imparato a conoscere perché ogniqualvolta si parla di un determinato problema, lo si va ad intervistare o lo si invita in studio televisivo come ospite fisso o a turno.
Terminata questa mia sfilata di modelli, mi domando: in percentuale quanti saranno in tutta Italia questi docenti. Pochi, troppi? Non si è ancora fatto un censimento. Ecco, posso proporre a qualche docente ricercatore di effettuarlo, magari utilizzando il metodo Cati, oppure mandando in ogni facoltà un questionario in busta chiusa. Se la percentuale dovesse risultare troppo alta, allora non possiamo meravigliarci che tanti ottimi ricercatori o docenti preferiscano andare ad insegnare all’estero o preferiscano continuare le loro ricerche nell'ombra o in solitudine; infine non dobbiamo dimenticare che esistono e sono tanti (e per fortuna nel mio percorso ne ho conosciuto più di uno) i docenti che possiamo considerare veri maestri di vita e di ricerca!


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