![στην ίδια μοιραία χαρά (a quella stessa fatale gioia) στην ίδια μοιραία χαρά (a quella stessa fatale gioia)](http://m2.paperblog.com/i/249/2495665/a-quella-stessa-fatale-gioia-L-Ysahzs.jpeg)
Non siamo gli unici ad avere un corpo e, come lessi una volta, la vita non è patrimonio esclusivo dei vivi. L'unica poesia che io ami è quella che mi eccita, che mi fa sentire tutta la mia carne e mi porta nella vita trascinandomi o tenendomi per mano: ne sento il calore, ne sento il sudore, il sapore acidulo. Ne sento quel fastidioso prurito e poi me lo dimentico perché c'è molto altro e le ferite fulminee sul costato e sul collo poco alla volta guariscono. I morsi della poesia dissanguano come succhiotti. La poesia mi prende come uomo, non come persona, e talvolta mi nausea, mi coccola, mi fa sentire vivo e fragile. La poesia è di carne ed è di sangue, non si accontenta del desiderio, si nutre della sua sofferenza e della solitudine, di un incontro ineluttabile, ma anche di uno che non importa. E della noia.
Voglio tutto il corpo dei poeti e rivoglio il mio attraverso la loro sensualità. Rivoglio tutta la mia notte.
(E là, su un lettuccio da poco prezzo
ebbi il corpo dell'amore, ebbi le labbra
voluttuose e rosee dell'ebbrezza -
rosee di una tale ebbrezza, che anche ora
che scrivo, dopo tanti anni!
m'inebrio nella mia casa deserta.
C. Kavafis)